Venti giorni chiuso in casa, in attesa di avere il ‘visto’ dell’Asp che ufficializza la sua negatività già comunicatagli al telefono.
La vicenda del paternese Edoardo Rapisarda, 46 anni, impiegato in un’azienda privata, documenta il marasma burocratico che si mette in moto ogni volta che c’è da registrare un nuovo caso di positività al Covid.
“La mia odissea – racconta Rapisarda al Corriere Etneo – comincia il 26 ottobre, quando faccio il tampone dopo avere accusato dei sintomi. Risulto positivo.
Il giorno dopo dall’Usca apprendo che il secondo tampone, a me alla mia famiglia (tutti negativi i miei conviventi) sarebbe stato fatto il 6 novembre. Dal 29 ottobre al 6 novembre, l’Usca mi dice di rivolgermi a loro per qualsia esigenza. Li ho chiamati, sapesse quante volte li ho chiamati. Ho trovato sempre occupato”.
Nella sua abitazione di Paternò, il secondo tampone è arrivato puntuale.
“Il 6 novembre scorso si sono presentati per il secondo tampone – racconta Edoardo Rapisarda. Giorno 10, intorno alle 15, mi comunicano via telefono che sia io che i miei familiari siamo negativi. Si badi bene: comunicazione verbale.
Per uscire di casa non serve soltanto l’ok dato a voce.
Ci deve essere la comunicazione ufficiale dell’Asp. Mi informo e mi viene detto che entro 48 ore avrei ricevuto la mail da parte dell’Asp di Catania.
Ma fino ad ora (lunedì 16) nessuno si è fatto sentire, nonostante mie ripetute sollecitazioni. Sabato ho anche allertato perfino i carabinieri per cercare di sbloccare la situazione.
I militari mi hanno risposto che dipende dall’Asp il ‘via libera’ che mi consente di tornare al lavoro.
Ma la comunicazione ufficiale non arriva. Da 20 giorni sono chiuso in casa e chiedo all’Asp di essere liberato”.