Novembre: I morti e la semina del grano. Tutto origina dalla ritualità ciclica dell’agricoltura

Novembre: I morti e la semina del grano. Tutto origina dalla ritualità ciclica dell’agricoltura

La terra è pronta ad accogliere i semi di grano. Brulla, dalle zolle poderose, solcata da spade.

La terra è pronta e gli uomini che la custodiscono e la coltivano consegnano ancora una volta – alla madre terra – quella vita che muore per rinascere di nuovo, più rigogliosa che mai.

Novembre: I morti e la semina del grano. Tutto origina dalla ritualità ciclica dell’agricolturaComunque la si voglia chiamare – festa dei morti, di tutti i santi o halloween nella sua versione irlandese – rimane comunque uno dei momenti più importanti del calendario rituale agro-pastorale che affonda le sue origini nella notte dei tempi.

Gli antropologi lo definiscono l’inizio del tempo della morte che si conclude con la pasqua di resurrezione che annuncia il tempo della vita.

Sono quei giorni nei quali, in tante tradizioni popolari, i vivi entrano in contatto con il mondo dei morti per propiziare il futuro raccolto, per consegnare alla terra – che li custodisce – i semi che germoglieranno in primavera. Una morte provvisoria: il ciclo della vita che diventa ritualità.

Dentro questo momento liturgico si colloca la produzione di dolci simbolici (ossa dei morti, rame di Napoli, totò) che rievocano il rito del conviviale tributo dovuto agli antenati, siano essi i nostri avi o i santi. In tutto il mondo, in Italia e in special modo in Sicilia si preparano dolci o piatti rituali e propiziatori.

Ovviamente con i prodotti tipici di ogni paese, di ogni città. Un atlante di sapori, di odori, di colori e di ridondanze culinarie.

Novembre: I morti e la semina del grano. Tutto origina dalla ritualità ciclica dell’agricolturaUna festa che ci ricongiunge alla necessità di trascendenza, che viviamo in ogni epoca, dal paganesimo al cristianesimo con immutata devozione. Nulla di contraddittorio, solo una continuità antropologica che conferma la sostanza teologica, sfruttando lo stesso repertorio iconografico, per narrare il desiderio dell’uomo di avere un buon raccolto, ancora una volta, ciclicamente.

I vecchi contadini lo sanno bene. La necessità ciclica di benessere, di fertilità, di protezione, determina la ritualità. Allora costruiamo segni, simboli e liturgie, lo facciamo seguendo i tempi della natura, determinando un calendario che ci orienta nel tempo e nello spazio, che diventa pratica del coltivare la terra.

«I defunti, come s’è visto, sono i protagonisti delle questue e destinatari ideali delle offerte rituali di alimenti che si susseguono nel periodo autunno-primavera». (Ignazio Buttitta, I morti e il grano – Tempi del lavoro e ritmi della festa, Maltemi 2006).

Proprio Buttitta con la sua ricerca, ci accompagna in questo viaggio affascinante alla scoperta delle nostre radici, per comprendere quella ritualità che nel tempo ha perso la sua dimensione collettiva scomparendo sotto i colpi di una commercializzazione globalizzante.

I ragazzi di oggi conoscono le offerte delle grandi aziende che invadono i loro cellulari nel periodo della festa di halloween, conoscono la zucca gialla, dolcetto scherzetto, le maschere mostruose ma non ne conoscono le ragioni. Anzi, sembra quasi che tutto si riduca a una banale competizione tra cristianesimo (la festa dei morti e dei santi) e paganesimo (halloween).

Sappiamo invece che tutto ha origine dalla ritualità ciclica dell’agricoltura, dall’esigenza di trascendenza dell’uomo che si affida alla terra, alla natura, all’ordine cosmico e a quella sacralità che tutto governa.

Certamente le nuove generazioni hanno il dovere di sapere e conoscere il significato di un dolce, di una zucca, di una festa, per essere cittadini critici e consapevoli, fuggendo la pratica del plagio e dell’esaltazione ideologica.

Novembre: I morti e la semina del grano. Tutto origina dalla ritualità ciclica dell’agricolturaNello stesso tempo, devono evitare di diventare preda di furbastri che, sfruttando l’ingenuità e la superstizione, affabulano i malcapitati, giovani e meno giovani.

E serve anche dire che l’orrido e il macabro non sono altro che modalità arcaiche per esorcizzare la possibilità che non si possa compiere un buon raccolto e per questo ci si affida agli antenati, ai santi, al divino. Nulla di più, nessuna implicazione folcloristica e satanista. Vogliamo ricordare gli acroteri del tempio greco? I gargoyle delle cattedrali gotiche? Oppure le spinose piante grasse che abbiamo in ogni casa sul davanzale? Tutti elementi iconografici che rimandano alla necessità di protezione della casa, dell’uomo, della terra.

Allora riscopriamo la dimensione sacra della festa. Pur ammettendo che non viviamo più quell’atmosfera contadina che caratterizzava la nostra società.

Le trasformazioni economiche, le modifiche alla filiera produttiva, e l’industrializzazione ha reso il calendario agropastorale una ridondanza nelle città e per questo serve ricordare, conoscere e raccontare le sue origini. Liberiamoci del fardello delle superstizioni e dei condizionamenti commerciali.

Riconnettiamoci con i nostri anziani per raccogliere le loro storie, le loro tradizioni, perché questo è il vero significato. Riconnessione tra le parti, tra il presente e il passato, tra la terra e il cielo, tra generazioni. E gustiamoci i dolci dei morti, che i nostri pasticceri producono come una volta, per imbandire le nostre tavole, in questi giorni di festa. Buona semina a tutti!

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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