Covid, il ritorno: l’illusione che fosse tutto finito. Paura del virus e del teatro della politica

Covid, il ritorno: l’illusione che fosse tutto finito. Paura del virus e del teatro della politica

Ci siamo, la curva risale velocemente: in Italia, in Europa, nel mondo.

Lo sapevamo che una seconda ondata sarebbe arrivata in autunno e la tregua estiva sarebbe subito finita. Il primo impatto è stato devastante, ha scavato dentro le nostre vite, ha modificato le abitudini di tutti. Ristoranti, bar, teatri e cinema allo stremo; la scuola snaturata da un virus maledetto. Il settore dei trasporti rimane inerme di fronte a questa tempesta che scuote l’intero Paese Italia. Ma dall’estero le notizie non sono migliori: Francia, Spagna, Stati Uniti d’America.

Per un attimo ci eravamo illusi che nulla potesse tornare come ai livelli di marzo-aprile, che il peggio fosse passato, che ormai dovevamo scendere in piazza a festeggiare.

Ma era solo un’illusione, forse una speranza, un desiderio. Restava la sensazione che il Covid-19 fosse solo quello dei telegiornali, lontano dalle nostre comunità, circoscritto a pochi casi, come una possibile declinazione di altre patologie esistenti nei pazienti contagiati.

Noi eravamo al sicuro, lontani dalla Lombardia, confinati nelle nostre isole felici, desiderosi di tornare alla libertà di sempre ma abbiamo sottovalutato la scienza, la statistica e la storia. Eravamo cosi assuefatti alle raccomandazioni del dott. Massimo Galli (ormai una presenza costante in ogni Tg), alle dichiarazioni della Protezione Civile, che abbiamo creduto che fosse solo una nuova serie TV. Dobbiamo dirlo senza vergogna: abbiamo pensato per un attimo che tutto fosse finito.

La politica, si interroga ancora su come e quando usare le risorse del Mes, del Recovery Fund e degli Eurobond, anche se rimane il sospetto che la questione non sia come e quando ma chi deve gestire questi fondi. E mentre qualcuno si interroga sul futuro, il futuro è già alle porte e al massimo abbiamo solo prenotato i banchi monoposto per le scuole. Perché tutta la questione è scuole chiuse o aperte; ristoranti chiusi o aperti.

L’esercito degli esperti della domenica (ex commissari della nazionale di calcio) si concentra sulla chiusura della scuola e dei ristoranti, perdendo di vista i nodi della questione: la rete digitale e dei trasporti (infrastrutturazione); la fruizione e il controllo dello spazio pubblico e collettivo in considerazione del rispetto delle distanza sociali (rigenerazione urbana); gli strumenti di compensazione e incentivazione economica, per accompagnare le imprese verso nuove forme aziendali e di segmenti di mercato (innovazione economica); la ricontrattazione del debito privato (azzeramento delle tante implicazioni che tale debito produce per l’accesso ai benefici e agli incentivi) per rilanciare la ripartenza di tutti i cittadini.

Ma cosa si poteva fare nei mesi passati, prima di questo ritorno di Covid? Comprare i banchi monoposto o potenziare i trasporti pubblici attuali e investire su quelli futuri? La scuola chiude per mancanza di banchi o per mancanza di mezzi di trasporto, sufficienti per diradare la concentrazione di studenti pendolari? Che fine ha fatto la fibra ottica? Non sarebbe più utile che fosse installata in ogni scuola, potenziandone la dotazione strumentale?

Adeguare le scuole in tre mesi non era possibile ma attrezzarle con fibra e tablet (efficienti e aggiornati) per tutti, era possibile. Per tutti, non solo per quelle scuole che poi ricevono la visita dei ministri, ma per tutte le scuole di questo Paese. Forse è questa la vera battaglia che dovrebbero condividere tutti i docenti e tutti i genitori.

Una scuola che possa offrire pari opportunità a tutti gli studenti d’Italia, compreso le isole.

Ma non siamo abituati a cogliere le criticità vere, ci concentriamo su quello che ci propone il teatro della politica: scuola chiusa o aperta, in un braccio di ferro che sembra quasi strumentale, per creare solo contrapposizioni elettorali. E che dire del controllo degli spazi pubblici? Forse una delle cause più evidenti del contagio.

Video sorveglianza e più forze dell’ordine? Bastava solo questo e tutti restavano aperti nel rispetto dei protocolli già sperimentati. E che dire degli incentivi sulla casa? Un castello bizantino che esclude quasi tutti, lasciando l’illusione del rilancio del settore edilizio, senza nessuna concretezza. Un castello pieno di trappole e strettoie che umilia un settore in ginocchio e nessuno parla per pudore.

Per rilanciare davvero l’economia diffusa – di artigiani, professionisti – bisogna mettere da parte gli effetti del debito, non il debito.

Se vogliamo riattivare il settore edilizio e non solo, basterebbe scontare l’Iva a tutti, invece di promettere super bonus per pochi eletti. Ma bisogna avere il coraggio di chiedere e non far finta di niente, per pudore. Un ristorante, un artigiano, un commerciante, un professionista non può accedere ai contributi o agli incentivi previsti, perché non ha il Durc in regola o cartelle esattoriali non pagate, tanto vale dirgli di chiudere per sempre; bisogna mettere da parte gli effetti del debito (amplificati), non il debito.

Ora continuiamo a parlare di scuole chiuse o scuole aperte, invece di chiedere la risoluzione dei nodi cruciali per rilanciare questo Paese. Digitalizzare, infrastrutturare e semplificare l’Italia con veri progetti di rigenerazione culturale e ambientale. E che dire del conflitto tra Stato e Regioni sulle strategie intervento? Un pasticcio costituzionale, vedi l’ultimo Dpcm per esempio. Abbiamo bisogno di strategie e strateghi e non di sterili personalismi umorali (in ogni parte presenti). La scuola chiusa è la febbre, non l’infezione.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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