Secessione, Montemare vuol diventare comune: la difficile gravidanza di Messina

Secessione, Montemare vuol diventare comune: la difficile gravidanza di Messina

La richiesta di secessione da parte di alcune comunità montane e litorali, a nord di Messina, al fine di costituire il nuovo comune di Montemare appare oggi anacronistica.

Un referendum è previsto per il prossimo 13 dicembre e forse sarebbe meglio interrogarsi sul perché di questo desiderio di separazione amministrativa. Il caso potrebbe sembrare singolare ma riguarda tante comunità, sparse nei territori, che vivono ai margini dei grandi centri urbani: isolate, abbandonate e prive spesso di identità.

La separazione come metodo evolutivo (vale in molti campi, come rinuncia al confronto argomentato).

Secessione, Montemare vuol diventare comune: la difficile gravidanza di Messina Il caso Messina è emblematico di una crisi più ampia dell’armatura amministrativa regionale che – dopo la soppressione delle provincie – non ha saputo dare risposte congruenti alle esigenze dei territori. Le città metropolitane, i liberi consorzi e il ping-pong stato-regioni sulla forma di governo, non ha risolto le tante contraddizioni che sono emerse e che continuano a imbrigliare la vita di tutti.

Molte le questioni aperte, non risolte, spesso in contrapposizione, sulle responsabilità, le competenze, le risorse, gli strumenti e la titolarità delle scelte. Stato, regione, comuni. Tra questi organismi c’è la necessità di collocare enti intermedi che non possono trovare la loro ragione di esistere in semplici automatismi amministrativi o peggio ancora in alchemiche e cieche aggregazioni demografiche, frutto di valutazioni spesso matematiche o personalistiche.

Qualunque formula si scelga (e bisogna fare presto) non si può prescindere dalla necessità di fare alcune valutazioni sull’identità culturale, sulla rete infrastrutturale, sulle polarità produttive, sulle reti dei paesaggi culturali e naturalistici della Sicilia intesa come una città-regione. In un momento storico, in cui si comprende l’utilità di considerare quest’isola come una grande città di mare, collocata al centro del Mediterraneo, attraversata da innumerevoli flussi, appare stridente parcellizzare una città metropolitana che forse dovrebbe ritrovare il senso della sua forma.

Questo non significa sottovalutare le richieste della comunità di “Montemare” ma riflettere se la separazione è la soluzione o la dichiarazione di fallimento di un territorio che non si è saputo strutturare con le municipalità, attuando un decentramento intelligente. Uno dei grandi limiti delle città metropolitane (oggi) sta proprio nella non capacità di cogliere il senso del territorio e pensare solo al nucleo centrale che gode di un’identità forte, autonoma e strutturata a tal punto che “decentrare” appare come un “cedere” qualcosa di cui si ritine di essere proprietari.

Abbiamo fatto le città metropolitane, ora dobbiamo fare i cittadini che li abitano. Fu detto per l’Italia – quando nacque come nazione – ma funziona anche in questo caso. La forma amministrativa di quest’isola è stata disegnata per millenni a partire dai suoi fiumi, dalle sue montagne, lungo direttrici commerciali e militari, polarizzare nelle città porto e nelle città sacre. Palermo, Catania, Agrigento, Messina, Siracusa. Val Demone, Val di Mazara, Val di Noto. La storia del paesaggio siciliano ci permette di individuare delle invarianti strutturali che – nel tempo – sono diventati confini, limiti, attraversamenti caratterizzate da una forte identità comunale o territoriale.

Secessione, Montemare vuol diventare comune: la difficile gravidanza di MessinaPer capirci, Catania, Acireale, Paternò e Caltagirone non posso essere automaticamente città metropolitana di Catania, senza un processo metabolico, che a monte, definisca i livelli di rappresentatività, le identità culturali e le eventuali connessioni, oltre a un piano degli obiettivi complessivi che non siano solo un gioco di pesi ma una strategia di equilibri che risolva la conflittualità tra centro e periferia.

Il sindaco della città metropolitana che poi è il sindaco della città-polo deve risolvere questo conflitto tra gli interessi locali (lui è stato eletto dalla sua città) e quelli del territorio (che non percepisce come suoi). In pratica, come sempre, tutto si riduce in un problema di rappresentatività. Rappresentato e rappresentante non hanno gli stessi obiettivi o necessità. «Ci sono ‘pezzi di territorio’ che rivendicano la presenza che può essere garantita dando alle Circoscrizioni o Municipalità risorse e poteri». Ma non basta. Sottovalutare la questione identitaria è gravissimo, il senso di appartenenza, le ragioni storiche che hanno determinato le differenze. Le aspettative, i bisogni, le opportunità, i pregiudizi.

In tutto il mondo si realizzano concentrazioni, aggregazioni, amministrative, imprenditoriali, strategiche. La Sicilia è di fatto una grande città metropolitana e sentire parlare di secessione è il segno che qualcosa non ha funzionato.

Oggi ripenso alla secessione tra i comuni di Paternò e Ragalna e mi convinco sempre più dell’errore politico che fu fatto negli anni ’80 che invece di risolvere la questione sul piano del rapporto rappresentante-rappresentato, con strumenti efficaci di governo, ha solo separato quello che da millenni era unito e funzionale. La separazione come soluzione e non come allarme di un problema culturale e identitario. Messina è un caso che ci fa riflettere. Forse la regione Sicilia deve avere il coraggio di risolvere – con una legge – questa anomalia, ridisegnando l’armatura amministrativa dell’Isola, pensando che è una sola città.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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