E’ in stato di fermo ed ha confessato, l’operatore dell’Irccs Oasi di Troina che ha abusato di una paziente gravemente disabile, rimasta incinta dopo la violenza subita.
L’uomo di 39 anni, assistente sociosanitario di Troina e’ accusato di violenza sessuale aggravata commessa su disabile che gli era affidata.
E’ stato il legale nominato dai familiari della giovane, affetta da una rara patologia genetica, a presentare alla Squadra mobile di Enna lo scorso 11 settembre la denuncia dopo che alla famiglia era stato comunicato dai responsabili dell’Oasi che la giovane, non in grado di prestare consenso, era in stato di gravidanza.
La vittima era ospite da diverso tempo dell’Irccs quindi, dopo gli accertamenti medici e ginecologici era stato accertato il periodo del concepimento risalente al periodo in cui la struttura era interessata da un focolaio Covid 19 e nessuno aveva accesso alla struttura senza autorizzazione. Le indagini sono proseguite con il prelievo di campioni sul personale per estrarre il Dna.
Ieri il trentanovenne, sposato e padre di un bambino, operatore sociosanitario dipendente da due anni dell’Oasi e’ stato convocato e interrogato. Nel mese di aprile, periodo del concepimento e in pieno blocco per il Covid l’uomo era stato assegnato al reparto dove erano stati trasferiti tutti disabili ospiti della struttura che erano risultati positivi al virus.
Approfittando dell’assenza temporanea dell’infermiere professionale, avrebbe abusato della giovane, malgrado la sua positività e consumando il rapporto senza alcuna protezione.
Dopo le ammissioni, l’uomo è stato posto in stato di fermo e trasferito in carcere. Le indagini coordinate dalla procura di Enna proseguono per accertare ulteriori altri aspetti della vicenda.
I sostituti procuratori Stefania Leonte e Orazio Longo, al termine dell’interrogatorio, hanno disposto il fermo di indiziato di delitto a carico del 39enne, nato nella provincia di Enna, contestando il reato di violenza sessuale aggravata dall’avere commesso il fatto ai danni di una donna disabile e nel momento in cui la stessa era a lui affidata.
La Squadra mobile di Enna dopo avere ricevuto l’11 settembre dall’avvocato nominato dalla famiglia della vittima, una formale denuncia, gli Ufficiali di Polizia giudiziaria hanno attivato immediatamente il ‘codice rosso’.
I primi accertamenti sanitari effettuati nel reparto di ginecologia dell’ospedale di Enna e del Policlinico di Palermo hanno permesso di focalizzare l’attenzione degli investigatori su un gruppo di persone presenti in struttura al momento del presunto periodo di concepimento.
La donna, nel momento in cui è stato accertato lo stato di gravidanza, aveva superato la 25esima settimana di gestazione e, pertanto, alcune indagini di tipo sanitario non potevano essere effettuate per non mettere a rischio tanto la vita della donna quanto quella del feto. Agli investigatori non rimaneva altro che agire con l’escussione di tutti i potenziali testimoni.
Presso la Squadra mobile della questura di Enna, sotto il continuo e costante coordinamento investigativo della procura della Repubblica, sono stati convocati i vertici aziendali della struttura sanitaria e successivamente tutti gli addetti ai vari servizi, dai medici agli operatori sociosanitari.
Dalle indagini è emerso che nessuno della struttura sanitaria si è accorto dello stato di gravidanza, ipotizzando che l’aumento di peso della ragazza potesse dipendere dal fatto che durante il lockdown ai degenti era stato permesso di mangiare di più o che i farmaci somministrati a volte erano causa di una irregolarità del ciclo.
Dalle prime persone ascoltate è emerso solo un dato che rendeva la vicenda ancora più grave: nessuno aveva accesso alla struttura senza autorizzazione e che altri ospiti disabili non avrebbero potuto commettere il reato.
L’attenzione si è concentrata su chi vi lavorava, procedendo con il prelievo dei campioni salivari per estrarre il Dna da parte degli operatori della Polizia Scientifica.
Dopo aver ascoltato decine di persone e prelevato diversi campioni, ieri mattina veniva convocato, tra gli altri, l’operatore sociosanitario dipendente della struttura di Troina da due anni, poi fermato.
Dalle prime domande è stato percepito il suo stato di disagio. L’indagato ha fatto particolare confusione nel raccontare quanto accaduto negli scorsi mesi e in particolar modo il periodo in cui la struttura di Troina era stata dichiarata zona rossa per il focolaio sviluppatosi all’interno con decine di positivi al Covid-19.
Ha riferito che a fine marzo ha chiesto alla direzione sanitaria di fare accesso alla struttura per poter dare aiuto ai suoi colleghi in difficoltà e alle persone degenti visto che era stata dichiarata la zona rossa con impossibilità di accesso o di dimissioni dall’Oasi. Dopo qualche giorno, considerata la carenza di personale, è stato autorizzato.
Nei primi giorni di aprile, proprio nel periodo di massima emergenza sanitaria affrontato dalla struttura di Troina, è stato assegnato al reparto dove erano stati trasferiti tutti i soggetti risultati positivi al Covid-19.
Durante una delle tante notti consecutive prestate in struttura, approfittando dell’assenza temporanea dell’infermiere professionale, ha raggiunto la vittima positiva al coronavirus che conosceva da tempo e l’ha violentata togliendosi tuta e mascherina.
Dopo la confessione, sono stati subito informati i pm che hanno raggiunto i poliziotti presso gli uffici della questura di Enna e raccolto, alla presenza del legale di fiducia, la piena confessione dell’indagato.
Il fermato è stato condotto in carcere. La procura “continuerà le attività d’indagine per chiarire – viene spiegato – ogni ulteriore aspetto della vicenda e valutare eventuali responsabilità in ordine ai fatti accaduti”.