Una delle nostre ossessioni più grandi: il tempo. Trascorre inesorabile, senza fermarsi. Scandisce le nostre giornate, sempre con lo stesso ritmo, tic tac, con un intervallo sempre uguale. Insieme allo spazio, rappresenta il nostro sistema di orientamento principale.
Dove siamo e in quale tempo. Molti filosofi e scienziati si sono interrogati sulla forma del tempo, sull’evoluzione lineare o circolare verso un orizzonte sconosciuto.
Tic tac, tic tac. Il tempo ci permette di organizzare le nostre azioni, di programmarle e collocarle in tempi futuri, di generare sequenze, scadenze, appuntamenti. Lo facciamo naturalmente, avvalendoci di uno strumento principale, il misuratore del tempo: l’orologio. Il tempo è fatto di ritmo, di ciclicità, di corrispondenza. Adesso più di prima siamo nelle condizioni di poterlo dividere in piccoli segmenti, sempre più piccoli, come abbiamo fatto con l’atomo, con la materia. Piccoli pezzettini di tempo, come parte di un’unità più grande che afferisce verso l’infinito.
Centesimi di secondo, millesimi di secondo, fino a raggiungere la dimensione dell’istante, indivisibile.
Siamo capaci di misurare ogni parte del tempo e cosa assai più importante siamo nelle condizioni di misurarlo in modo da allineare il tempo di tutti. Siamo nelle condizioni di comparare i tempi di città lontane. Allineare, collimare, sincronizzare. Le otto a Roma, le nove a Gerusalemme e le sette a Londra sono lo stesso momento, lo stesso tempo. La velocità con cui ci spostiamo da un continente all’altro impone una corrispondenza infinita. L’esattezza nella misurazione del tempo è necessaria per non generare il caos. Ma questa esattezza è spietata, globalizzante, livellante. Utile per gestire macchine, programmi, sequenze, combinazioni e coincidenze.
I treni, la Tv, la produzione, gli eventi, tutte le attività umane del pianeta hanno bisogno di un unico tempo: nella forma, nel ritmo e nella misura. Si chiama modernità. Ma qualche volta siamo come ossessionati dal tic tac che uniforma ogni cosa anche quando questo tempo serve a misurare altri tempi, altre culture, altre liturgie, nate con altri ritmi e altri modi di misurare il tempo.
Se vogliamo misurare le dimensioni di una città antica, lo dobbiamo fare usando le unità di misura lineari della città, al momento della sua formazione. Non possiamo misurare in metri, centimetri e millimetri ma in piedi, braccia, cubiti ecc. e la stessa cosa vale per il tempo ma con una profonda differenza: il tempo nell’antichità era variabile, legato ai luoghi e alle stagioni.
La questione è che mentre nel passato le giornate (solari) determinavano la suddivisione del tempo, allungandosi e restringendosi in funzione delle stagioni, oggi il tempo suddivide le giornate (solari) con un ritmo fisso e invariabile. Alba, zenith e tramonto sono eventi che cambiano in funzione del luogo e della stagione in cui essi si registrano. Solstizi, equinozi sono momenti astronomici che determinano un tempo differenziato al contrario dell’orologio moderno che determina un tempo assoluto.
Mentre gli antichi pensavano all’invariante degli astri (fissi nella loro collocazione astrale) e alla flessibilità della misura del tempo, oggi crediamo al movimento degli astri (il respiro del cosmo) e alla rigidezza della misura del tempo che ordina tutto.
Sembra una cosa da poco ma è una vera rivoluzione. Un diverso modo di concepire tempo e spazio. La misurazione del tempo diventa una griglia indeformabile mentre il cosmo di muove indipendente da tutto ciò.
Immaginiamo i monaci dell’XI secolo, misuravano il tempo in funzione delle lodi, che scaturivano dal movimento del sole in un preciso luogo (l’orizzonte che varia per forma) e in una precisa stagione dell’anno.
In pratica non era l’orologio moderno che determinava lo svolgersi delle azioni (tempo fisso) ma la mutevolezza del ritmo del tempo in funzione del sole e della luna (tempo flessibile). Insomma, le sei del mattino per il solstizio d’inverno non erano le sei del mattino per il solstizio d’estate, semplice. Erano più aderenti al tempo naturale e non incastrati dal tempo artificiale. Accelerazioni e lentezze erano un pulsare del sole in un preciso luogo e in un preciso tempo, non comparabile nella sua dimensione ritmica ma nel suo significato simbolico.
Possiamo misurare uno gnomone (orologio solare) usando un sistema di misura estremamente rigido come il tempo digitale? Appare difficile e soprattutto inutile. Serve misurare e verificare il principio simbolico e le corrispondenze di massima, approfondendo il più possibile il contesto storico e ambientale del tempo.
Una cosa è certa, ogni architettura (intesa come manufatto che trasforma il paesaggio) è stata pensata per misurare il tempo flessibile e orientare gli uomini nel loro viaggio verso qualcosa o qualcuno nel mondo terreno e trascendente, poi l’architettura si è dimenticata di questa sua funzione e abbiamo perso questa sensibilità.
Si parla spesso di lentezza, di riconquista dei tempi naturali e tutto questo appare molto complicato, perché oggi la misurazione del tempo è rigida e non variabile.
Il tempo – in alcuni momenti della nostra vita – dovrebbe tornare ad essere morbido, flessibile, regolato dai ritmi solari.
Non ci possiamo permettere questo status per tanto tempo ma andrebbe fatto ogni tanto, magari visitando uno dei tanti monasteri che in Italia accolgono i pellegrini.