Paternò, Ciatto: “Questa città non esiste. Come la si può immaginare attrattiva e affascinante?”

Paternò, Ciatto: "Questa città non esiste. Come la si può immaginare attrattiva e affascinante?"

L’esponente di Articolo 1 a Paternò Giancarlo Ciatto interviene sulla questione che riguarda il nuovo assetto urbanistico della città: ad aprire il dibattito è stato un articolo di Francesco Finocchiaro sul Corriere Etneo di domenica. Ieri abbiamo pubblicato l’intervento del Segretario del Pd Leonardi.

Per parlare della propria città, Ciatto prende le mosse anche dal brillante articolo di Francesco Mascali sulle 6 ragioni per restare o restare a Paternò.

Questo l’intervento.

Egregio Direttore,
scrivo sollecitato da due articoli pubblicati dal Corriere etneo a firma dell’Architetto Francesco Finocchiaro e del giovane Francesco Mascali. Lungi dal voler essere polemico, etimologicamente dunque bellicoso, vorrei provare ad essere dialettico: dal greco διαλεκτικός “relativo alla discussione”. L’accostamento tra i due articoli può apparire forzato, avendo in comune tra loro soltanto l’oggetto cui si rivolgono le attenzioni: la città di Paternò.

Paternò, Ciatto: "Questa città non esiste. Come la si può immaginare attrattiva e affascinante?" In realtà, non si tratta di una forzatura, perché le due posizioni hanno in comune un “vizio”, nel senso che sono viziate da un errore prospettico. Dove si posa lo sguardo della prospettiva, non è roba di poco conto. A questo punto sarebbe meglio precisare: essi compiono un errore di retrospettiva. Cioè dimenticano di spiegar(si) qual è il motivo (la causa sui) per cui Paternò è arrivata al punto in cui è; quali sono le cause economiche e soprattuto quali quelle antropologiche e sociologiche.

Assumendo la retrospettiva corretta, il presente ci apparirà più chiaro e le scelte sul futuro, ammesso che ne siano ancora date, meno annebbiate. Provo a spiegar(mi). L’architetto Finocchiaro nel suo fondo tenta di immaginare quali possano essere le linee per un futuro assetto del territorio da un punto di vista paesaggistico, urbanistico ed economico. Contrapponendo ad una visione “di valle” una visione “costellata”.

Lasciando trapelare che solo una buona pianificazione (dall’alto?) possa essere foriera di un sano sviluppo. Francesco Mascali ci parla con una certa intelligenza, anche se in modo didascalico, dei buoni motivi per poter rimanere a Paternò e di quelli cattivi per cui si dovrebbe scappare o si è già scappati. Invocando una certa partecipazione dei cittadini volta a rimuovere i “cattivi motivi”.

Nell’ordine. Posto che io condivido che la pianificazione urbanistica (non solo urbanistica) sia uno degli strumenti più idonei a guidare (brutta parola) un certo tipo di sviluppo, mi chiedo: è possibile che questa pianificazione venga “disegnata” dall’alto senza tenere conto delle condizioni sociologiche, economiche ed antropologiche in cui versa la nostra Città? Date per buone alcune delle considerazioni che svolge l’architetto Finocchiaro sul posizionamento geografico e sulla mobilità urbana, si può affrontare realmente e non soltanto idealmente la questione dello sviluppo, senza volgere lo sguardo sulle reali forze sociali in campo? Sia pure per ostacolarne le “deviazioni”? Io ritengo di no. Qui, la retrospettiva. Paternò è una Città ormai priva di classi.

Non sembri ciò che dico esagerato né vacuo sociologismo. La figura sociale centrale per lungo tempo nella nostra Città, è stata quella del “massarioto”. Un ibrido: né bracciante né ricco proprietario terriero. Debole con i forti e forte con i deboli. In una parola: infeudato. Paternò non ha conosciuto mai una borghesia agraria e non hai mai visto fiorire un vero e proprio movimento bracciantile.

Le lotte per le terre, tipiche del movimento contadino di altre parti della Sicilia, da noi hanno avuto poca eco. Questo impasto sociologico ha fatto si che il paternese sviluppasse nel tempo una scarsa coscienza civica; privo com’era di un certo tipo di proletariato e di una certa borghesia. Nessun senso dell’interesse generale, ma sguardo solo rivolto al “particulare”.

Questo tipo sociale, mitigato solo un poco nel secondo dopoguerra dai partiti di massa, ha resistito e si è tramandato sino ai nostri tempi. Non sono mai esiste delle Élite aperte e democratiche ma piuttosto chiuse ed autoreferenziali, prive di reale interesse per la cosa pubblica. La struttura mentale del “massarioto” si è trasferita pari pari ai figli, più o meno laureati, più o meno professionisti.

Creando un sostrato culturale provinciale ed asfittico. I limiti, dunque, della nostra società, della sua cultura e del suo (mancato) sviluppo economico, sono organici. Se per un certo periodo di tempo sono stati fisiologici, oggi, a causa di fattori anche esogeni, sono diventati patologici. Fatta questa non breve digressione, veniamo alle questioni sollevate dall’articolo di Finocchiaro, per poi ricondurle a quelle esposte nell’articolo di Mascali.

Non vi è alcun dubbio, come sostengono diversi studiosi -tra cui Harvey- che lo sviluppo urbanistico delle nostre città sia stato essenzialmente prodotto dallo sviluppo delle forze economiche. Il capitalismo ha di fatto guidato questo convoglio di forze. Spopolamento dei centri storici, gentrificazione, abbandono delle campagne, creazione dei centri commerciali sono tutti segni di una economia votata al consumo

A questo processo la cosa pubblica ha assistito come spettatore inerme. Di qui, e riallacciandomi alle considerazioni retrospettive, alcune domande: quali sono le forze economiche presenti a Paternò? Qual è la sua composizione sociale? Quali fattori culturali ne attraversano le viscere?

La pianificazione dovrebbe imporre una direttrice di marcia al motore. Poi, come diceva il Generale De Gaulle: l’intendance suivrá. Le salmerie seguiranno. Ma qui dove sono le salmerie? A quali forze reali dovrebbe rivolgersi una eventuale pianificazione? Semplicemente non esistono. La nostra economia continua ad essere un’economia agricola.

Con una filiera troppo corta che ha fatto sparire, elencarne i motivi per ragioni di spazio è impossibile, i piccoli produttori. Con una manodopera bracciantile sfruttata fino all’osso ed incapace di produrre qualsiasi moltiplicatore economico. Nessuna industria; nessuna economia dell’artigianato; terziario sempre più assottigliato. Commercio ed edilizia, per ovvie ragioni, ferme. Una società praticamente inesistente, verso cui dovrebbe rivolgersi una ipotetica pianificazione. Impossibile. È qui che le strade dei due articoli si incontrano, e volgendo lo sguardo indietro, per osservare il presente, mancano di prospettiva. La classe dirigente (che non dirige) di questa Città, la sua borghesia (se trovate un altro termine sostituivo me lo fate conoscere), hanno totalmente abbandonato Paternò. Hanno portato la logica del massarioto alla sua ennesima potenza.

Se prima questa logica era colmata da diversi fattori, oggi ci si offre in tutta la sua forza destrutturatrice. Nessuna compagine politica negli ultimi vent’anni ha voluto comprendere e provare ad invertire la tendenza. Paternò è una società “non società”. Nessun potere e nessun contropotere. Un “sottoproletariato inurbato” che “ammorba”. Monadi confuse tra loro, che prendono quel poco che ancora c’è da prendere, e vanno altrove. Non fuori da sé , ma fuori dal “sé collettivo”.

Come si può immaginare in un contesto simile di affrontare, con qualsiasi strumento, i problemi legati al territorio e al suo sviluppo? Come si può immaginare, per rispondere al Mascali, che questa città sia attrattiva e affascinante, se questa Città non esiste?

Senza affrontare realmente e radicalmente questi problemi nessun, seppur minimo cambiamento, potrà darsi. Per affrontarli bisogna spogliarsi di qualsiasi logica d’appartenenza, e non mi riferisco all’appartenenza politica, che rende atavici questi problemi.
Se il prossimo governo della Città saprà farlo, potrebbe esserci ancora qualche speranza. Altrimenti verrà quello che tante altre volte è già arrivato nella storia: l’oblio.

 

P. S.

La contrapposizione tra valle e costellazione appare un tantino capziosa. Non già dialettica.

La valle può essere, in parte lo è già, sviluppo reticolare. Vi sono esperienze “nella valle” che hanno già coinvolto diverse costellazioni con ricadute concrete. Se poi la discussione verte su queste ricadute, io non sono interessato. Certo è che non bisognerebbe mortificare chiunque si impegni nel nostro territorio, anche portando avanti legittimamente alcuni interessi.

Giancarlo Ciatto
Articolo 1.

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