Quando Lucio Battisti fece ascoltare le sue canzoni a Mogol, quest’ultimo non ne rimase favorevolmente colpito.
Lo racconta lo stesso Giulio Rapetti (vero nome di Mogol, ndr.) in un’intervista al ‘Corriere della Sera’ in cui ripercorre le tappe fondamentali della sua vita e della sua carriera.
“Me lo portò a casa una mia cara amica parigina, che si occupava di edizioni musicali e stava cercando un musicista italiano da promuovere in Francia.
Mi fece ascoltare le sue canzoni, che non erano un granché e io lo dissi chiaramente a quel ragazzo”.
Battisti reagì con filosofia: “Mi fece un sorriso luminoso, dicendo: sono d’accordo. La mia amica invece rimase male e io, per metterci una pezza, invitai Lucio a venirmi a trovare, per lavorare a qualcosa insieme. Nacquero le prime tre canzoni, la terza era 29 settembre”.
Ma negli anni dell’impegno politico, della lotta armata, degli anni di piombo, le canzoni di Battisti e Mogol erano considerate qualunquiste. “Addirittura fasciste! L’impegno, a quel tempo, era essere di sinistra – afferma Mogol – fare testi sulla classe operaia, le contestazioni… io parlavo della sfera privata.
Era il momento dei cantautori, tipo Francesco Guccini bravissimo per carità, ma le loro non erano canzoni vere e proprie. Scrivevano dei testi politici e poi li cantavano con una musica che non aveva un ruolo fondamentale.
Però, poi, ho scoperto una cosa che mi ha fatto piacere: nel covo di via Gradoli delle Brigate rosse, trovarono la collezione completa di Mogol-Battisti. Ascoltavano le nostre canzoni e le nascondevano”.