di Benedetto Torrisi*
E’ di questi giorni la notizia sull’approvazione delle Zes (Zone economiche speciali) per la Sicilia.
In questo quadro evolutivo occorre chiedersi perché tutto ciò?
Quale è il goal di questa policy? Ecco, il punto di partenza è la riduzione dello svantaggio competitivo rispetto al resto d’Italia, l’incremento dell’occupazione e l’attrazione di capitali e nuovi investimenti in aree a vantaggio speciale.
Questo può significare un apporto di ossigeno per il sistema produttivo locale interconnesso con il sistema della logistica, retro-portuale e portuale. Occorre immaginare queste aree come territori produttivi che spostano beni e merci per le esportazioni sugli interporti, porti di partenza e di arrivo. Una filiera produttiva e commerciale a forte vantaggio fiscale ma anche di forte impatto occupazionale.
Cosa accade quando la scelta si consolida su specifiche aree, lasciando fuori altre già a sviluppo produttivo svantaggiato? Sulla perimetralizzazione di queste aree il tema è abbastanza caldo, sul quale si giocano partite che, aldilà della metodologia di definizione, comportano valutazioni politiche di non poco conto, specie quando è lo Stato ad assegnare una specifica dimensione e su quella occorre fare i conti. E’ una partita complessa che non serve bloccarla, vista l’opportunità, ma serve forse migliorarla in un’ottica di massimizzazione dei benefici. Purtroppo rimanere all’interno dei parametri dettati dallo Stato con una coperta già corta, rischia di lasciare scoperto qualche dito o qualche piede se la si tira da un lato o dall’altro.
Se prendiamo come esempio la provincia di Catania, alcuni Comuni con una specifica vocazione industriale produttiva sono stati presi in considerazione mentre molti altri con specifiche vocazioni, oltre che manifatturiere anche agricole produttive ne sono rimasti esclusi. Eppure la presenza della SS.284 che attraversa quei comuni con zone industriali/ artigianali/agricole interconnettibili perfettamente con l’interporto e il porto, rappresenta quel plus infrastrutturale che li avrebbe potuti legare alla Zes.
Ma evidentemente la coperta troppo corta, ha coperto alcuni e scoperto altri. Allora la domanda è, come fare affinché gran parte dei territori possano godere di un simile vantaggio produttivo e fiscale, tale da migliorare lo stato di sviluppo dei luoghi e il benessere economico e sociale?
Su questo tema forse sarebbe possibile fare qualche considerazione più di natura tecnica. L’utilizzo di specifici indici composti di dimensionamento territoriale (pesati rispetto alla proporzione della dimensione produttiva, della popolazione residente e della capacità di connessione logistica infrastrutturale) potrebbe risultare lo strumento per perimetrare all’interno delle Zes molte delle aree rimaste escluse.
Se dalle valutazioni tecniche passiamo a valutazioni di natura politica il tema è: quale futuro per queste aree rimaste scoperte? Le valutazioni sono ampie ma serve che “chi è già in condizione di svantaggio deve godere del vantaggio” pur di appianare il ‘gap’ del sottosviluppo; ma questo deve far parte di una visione programmatica politica e tecnica che si interroga su “cosa vogliamo che diventi l’area pedemontana sud dell’Etna”? Area produttiva e competitiva, area svantaggiata, dormitorio o cos’altro?
*Benedetto Torrisi è professore Associato di Statistica Economica presso il Dipartimento di Economia ed Impresa Università degli Studi di Catania