“La situazione da quel 20 febbraio ormai lontano è cambiata e l’Istituto superiore della Sanità e il Governo devono rendersene conto e comunicare di conseguenza. Altrimenti, si contribuisce, magari in modo involontario, a diffondere paura ingiustificata”.
Lo afferma il direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano Giuseppe Remuzzi, che in un’intervista al Corriere della Sera spiega: “Abbiamo condotto uno studio su 133 ricercatori del Mario Negri e 298 dipendenti della Brembo. In tutto, quaranta casi di tamponi positivi. Ma la positività di questi tamponi presentava una carica virale molto bassa, non contagiosa. Li chiamiamo contagi, ma sono persone positive al tampone. Commentare quei dati che vengono forniti ogni giorno è inutile, perché si tratta di positività che non hanno ricadute nella vita reale“.
“Sotto le centomila copie di Rna non c’è sostanziale rischio di contagio”, aggiunge Remuzzi citando un lavoro appena pubblicato da Nature e confermato da diversi altri studi. “Quindi, con meno di diecimila copie di Rna virale, nessuno dei ‘nostri’ 40 positivi risulterebbe contagioso. Questo significa che il numero dei nuovi casi può riguardare persone che hanno nel tampone così poco Rna da non riuscire neppure a infettare le cellule. A contatto con l’Rna dei veri positivi, quelli di marzo e inizio aprile, le cellule invece morivano in poche ore”.
“Analoga situazione – dice ancora Remuzzi – anche secondo uno studio del Center for Disease Prevention della Corea su 285 persone asintomatiche positive, ha rintracciato 790 loro contatti diretti. Quante nuove positività? Zero. Anche altri studi vanno in questa direzione.
L’Istituto superiore di Sanità e il governo devono qualificare le nuove positività, o consentire ai laboratori di farlo, spiegando alla gente che una positività inferiore alle centomila copie non è contagiosa, quindi non ha senso stare a casa, isolare, così come non è più troppo utile fare dei tracciamenti che andavano bene all’inizio dell’epidemia. Penso che il professor Crisanti abbia fatto un grande lavoro, agendo subito e con decisione con il doppio tampone e tracciamento, metodo che va bene per un piccolo focolaio.
Ma se il virus circola da mesi e poi esplode come accaduto in Lombardia, rischia di diventare controproducente, a meno di avere a disposizione una organizzazione ferrea tipo Wuhan”.
L’attuale sistema basato sui tamponi, afferma il direttore del Mario Negri, “sta andando avanti in modo burocratico con delle regole che non tengono conto di quello che sta emergendo dalla letteratura scientifica. Non bisogna confondere il numero di tamponi con l’andamento dell’epidemia”.
Quanto ai dati di ieri, secondo cui sono stati registrati 216 nuovi casi in Lombardia su 333 in tutta Italia, Remuzzi non si dice preoccupato “se sono positivi allo stesso modo di quelli della nostra ricerca, ovvero con una positività ridicolmente inferiore a centomila. Perché non possono contagiare gli altri”.