Catania, 14 arresti per la tratta delle nigeriane: indagini avviate dopo sbarco a Catania della nave Aquarius

Operazione Promise Land

Con l’operazione “Promise Land” la Procura di Catania ha fatto luce sulla tratta di essere umani, in particolare di giovanissime ragazze nigeriane. Sono in totale 14 i soggetti raggiunti da una ordinanza di esecuzione cautelare: in particolare sono 10 i migranti arrestati tra Catania, Messina, Caltanissetta, Verona, Novara e Cuneo.

Gli altri quattro sono al momento irreperibili. Tutti sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione.

Gli arrestati sono tutti nigeriani sei donne e 4 uomini.

Catania, 14 arresti per la tratta delle nigeriane: indagini avviate dopo sbarco a Catania della nave Aquarius (Le indagini sono state avviate dalla squadra mobile della Questura di Catania dopo lo sbarco di migranti avvenuto nel porto del capoluogo etneo il 7 aprile 2017 dalla motonave Aquarius della Ong Sos Mediteranee.

A fare scattare l’inchiesta una giovane nigeriana sbarcata a Catania, la quale nelle ore successive al suo arrivo nel capoluogo etneo è stata presa in consegna da agenti della “Sezione Criminalità straniera”, specializzati nella cosidetta “early identification” di presunte vittime di tratta. Interrogata, la donna ha detto di avere lasciato il suo paese perché convinta da un connazionale di nome Osas, che le aveva proposto di raggiungerlo in Italia, promettendole un lavoro lecito e anticipandole le spese del viaggio.

Dal racconto della giovane sono emersi i dettagli sulla fase del reclutamento in Nigeria (dalla indicazione del Ju-Ju man ovvero lo stregone che aveva officiato il rito, alla procedura del giuramento e della sottoposizione al rito Ju-Ju, sotto la minaccia del quale la giovane aveva assunto il solenne impegno di non denunciare, di non fuggire e di pagare il debito d’ingaggio assunto, ammontante a 25 mila euro) alla fase del trasferimento in Italia dalla Libia dove è stata imbarcata su un natante di fortuna per poi essere soccorsa insieme agli altri migranti e condotta a Catania.

L’attività tecnica ha permesso di identificare il richiamato “Osas” nell’indagato Osazee Obaswon, dimorante a Messina che, dopo qualche giorno dal collocamento di “ Giuly”, nome di fantasia, in una struttura protetta, si è attivato per prelevarla, portandola presso la sua abitazione ed avviandola alla prostituzione. Oltre a Osazee Obaswon, il capo indiscusso, del gruppo italiano facevano parte Tessy William, detta Silvia, e James Arasomwan; una componente nigeriana formata dai familiari di alcuni degli indagati e altri con il ruolo di reclutatori e infine una componente libica costituita dal connection man, ai quali ci si rivolgeva per il trasferimento via mare.

Alcune delle vittime erano immesse nel circuito della prostituzione delle strade messinesi, dove l’indagata Belinda John (già tratta in arresto per tratta di esseri umani e già condannata), risultava gestire alcuni joints (postazioni lavorative su strada) e alla quale venivano consegnati i canoni mensili per singola posizione occupati. Il gruppo peraltro costituiva un punto di riferimento per altri connazionali i quali chiedevano consigli, contatti o supporto logistico e, talvolta, offrivano anche ausilio per la gestione di vittime (gli indagati Faith Ekairia, Joy Nosa, Rita Aiwuyo e altri 4 indagati non rintracciati sul territorio nazionale).

A Messina sono risultati attivi James Arasomwan e Macom Benson, incaricati della riscossione del canone di locazione dei joints spettante alla proprietaria dei posti, mentre ulteriori basi operative risultavano dislocate a Novara, dove dimoravano Tessy William e Evelyn Oghogho, a Verona con Ekairia e Nosa, e Mondovì, sede della madame Rita Aiwuyo.

Le indagini hanno permesso di rilevare una esternalizzazione dei servizi correlati alla gestione delle vittime e una sorta di “amministrazione conto terzi“ della vittima: il soggetto che aveva finanziato e organizzato il viaggio della vittima la inviava presso un altro soggetto cui delegava “in toto” la messa a reddito, il controllo del meretricio, la percezione dei guadagni e l’invio degli stessi. Le vittime erano costrette a inviare le somme direttamente al ‘voodoolista’ che in Nigeria le aveva sottoposte al jujù ovvero ai propri parenti affinchè questi ultimi versassero le somme al voodoo lista, il quale, al momento della ricezione delle somme avvisava la “madame” o i suoi parenti in Nigeria e questi ultimi si recavano dal voodoolista per incassare le somme nell’interesse della congiunta, somme che ovviamente restavano in Nigeria.

Le indagini hanno consentito di accertare che il gruppo era in grado di movimentare ingenti somme di denaro, sebbene talvolta anche per importi minimi: i flussi di denaro verso la Nigeria avvenivano sempre avvalendosi dei servizi di intermediari che non utilizzavano sistemi ufficiali o tracciabili.

Il volume di affari generato da detti traffici illeciti veniva gestito grazie al coinvolgimento di altri connazionali che si prestavano per trasferire, attraverso canali non ufficiali, gran parte del denaro in Nigeria (dove veniva impiegato in investimenti immobiliari) ovvero per trasferirlo ai ‘connection men’ libici in pagamento di nuovi viaggio di nuove vittime.

Dall’analisi dei flussi di denaro movimentato attraverso le carte di credito e postapayemerse nel corso delle indagini ( tutte sottoposte a sequestro) risultano accertate operazioni per un ammontare complessivo pari a 1.200.000,00 euro.

 

 

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