Il fantasy-thriller di Monica La Magna rende omaggio a Catania: ‘La stirpe dei sorveglianti” è l’opera prima

di Alessandro Montalto

Un pochino fantasy e un tantino thriller. L’opera prima di Monica La Magna valorizza Catania, dal suo basalto espressivamente parlante ai suoi meandri memorabili e sinuosità arcaizzanti.

Ricorda il voler scrutare, con un tocco howardiano, evocando Quinn. Rammenta Walpole e i suoi “castelli”. Chi ha divorato Irving e assaporato Wellman scopre e riscopre i volti dei loro antieroi in Adel e dal sangue dei suoi consanguinei. L’incomprensibile arcano, primigenio e ancestrale, si fonde con la modernità e si fionda, come un corrente femmineo e muliebre Hodgson, verso l’investigazione dell’inafferrabile, flebile e inaccessibile per i più, da ghermire e interrogare.

Lo stile è fluidamente minimalista, senza arzigogoli descrittivi o giravolte psicointrospettive. Da un lato, è la città a voler essere l’oggetto assoggettato dalla penna scrivente, dall’altro, è il voler marchiare, in salsa drammaticamente thrilling, pochi personaggi dai lunghi intendersi, ora in un andirivieni diaristico ora in un intrico di incastri spaziotemporali. “La Stirpe dei Sorveglianti”, nella sua non eccedente corposità, vuol far intendere al lettore che, in embrione, v’è altro di immaginario, reale e irreale. Un voler foggiare altre vicende e imprimere altri episodi, vacillanti tra storia e metastoria. Soggetti e oggetti sono genuinamente tangibili. Scene e zone fosche e scenari e luoghi, parimenti, fantasiosamente immaginifici. Quest’opera prima sa di tendone da sipario che si svolge, come a voler far scorgere nuove quinte dell’oltreumano avvertire o, forse, un sentire che sa di trascendente, abbarbicato all’onirico e all’umana esigenza di avere un’eternità. Chi vorrà, potrà adocchiare, in filigrana, una tenue screziatura di reverenziale pietà e religiosità.

A illuminarci maggiormente è la stessa autrice, attraverso le sue risposte a ben poche domande, rivolte giusto per sapere e poter immaginare ancora una volta.

Pur essendo spesso non gradevole collocarsi da autore in una specifica categoria letteraria a quale genere narrativo si rivolge “La stirpe dei sorveglianti”?

La storia ha tutte le caratteristiche del thriller. Il ritmo incalzante, un antagonista che tenta di ostacolare la protagonista, falsi indizi e colpi di scena. Tuttavia, il fulcro dell’intera narrazione ruota intorno ad un oggetto, frutto della mia fantasia: senza di esso non sarebbe esistita alcuna storia e, quindi, qualcuno l’ha ribattezzato “fantasy – thriller”.

Perché proprio Catania e il comprensorio territoriale circostante? Oltre all’amore verso la propria terra c’è ben altro?

Catania è una città che si presta bene alle vicende raccontate nel libro, perché piena di storia e siti archeologici poco conosciuti o, addirittura, sconosciuti anche a noi catanesi. Mi sono appassionata ad approfondire la storia di alcuni siti della città e l’ho voluta veicolare anche ai lettori in una maniera nuova.

Cosa c’è di autobiografico e di puramente creato?

È inevitabile che vi sia, in ogni storia, qualcosa di autobiografico. Qualsiasi autore trasferisce nelle proprie opere esperienze, cultura e tratti caratteriali dei personaggi riferibili in qualche modo a sé. Sicuramente, in ogni personaggio c’è un po’ di me. Sono appassionata di storia, come la professoressa Lidia, somiglio fisicamente alla protagonista Adel ed ho persino gli stessi gusti estetici della nonna! Però di tutto ciò, in verità, mi sono accorta solo dopo avere scritto il libro, qualsiasi autobiografismo non è stato voluto.

Questa tua opera prima avrà un seguito?

Sto lavorando, da qualche mese, al secondo libro, sarà il prequel del primo. Racconterò della nonna di Adel a sedici anni, cioè, quando aveva la stessa età della nipote nel libro “La stirpe dei sorveglianti”. Sarà ambientato negli anni ‘50. La giovane Adelina si confronterà con un antagonista spietato e ci saranno anche delle ellissi temporali che faranno viaggiare il lettore nella Catania del 1160, quando era governata dalla Regina Margherita di Navarra ed il vescovo – uno dei protagonisti della storia – era Giovanni Da Salerno.

Come si può fondere l’arcano dei classici greci, da te tanto amati, con la contemporaneità che ci avvolge in un racconto da proporre ai moderni lettori?

Grazie a Catania è stato molto semplice, perché è una città moderna e caotica, ma al tempo stesso piena di storia. Se, da un lato, la trama è del tutto inventata, dall’altro, tutti i siti citati nel libro sono, invece, esistenti e fruibili. Analogamente, ogni racconto mitologico è stato scrupolosamente riportato: ho fatto molte ricerche per “incastrare” i luoghi ai miti. Ho voluto che il lettore potesse visitare i luoghi in cui è stata raccontata la storia di Adel. È la protagonista che, in qualche modo, mi ha indicato dove si sarebbe svolta la storia. È stato incredibile scoprire, man mano che facevo le ricerche e scrivevo, le ambientazioni. Inizialmente, la storia si sarebbe dovuta svolgere sull’Etna e avrei voluto il vulcano “protagonista”, ma Adel mi ha portata altrove! Anche nel secondo libro, mio malgrado, non riuscirò ad inserire il mio amato vulcano.

In quale personaggio ti identifichi maggiormente?

In verità in nessuno, anche perché non ho voluto approfondire la psicologia dei personaggi. Desideravo che i veri protagonisti fossero la città, la mitologia e l’idea fantastica. Questo libro è stato scritto per rendere omaggio alla bellezza di Catania e per suscitare nei lettori la curiosità di visitare i luoghi del romanzo. Ciò che desidero valorizzare nei miei libri è lo “spirito del luogo”, ciò che gli antichi romani chiamavano “genius loci”.

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