Biancavilla, l’addio inconsapevole alla figlia del medico Ingiulla: “Mi disse stai tranquilla, mi addormentano per farmi riprendere”

“Mio padre era molto affezionato al presidente Mattarella. Gli ho scritto tramite il sito del Quirinale, erano le 2 della notte di venerdì. E stato un onore ricevere la sua telefonata, un gesto affettuoso e umano, ma solo il fatto che abbia letto le mie parole e abbia speso un pensiero per la mia famiglia mi rincuora”.

Elena Ingiulla, racconta al Giorno la telefonata del capo dello Stato dopo la morte del padre Salvatore, 61 anni, medico che prestava servizio nelle carceri di Brescia, per il Coronavirus. La lettera scritta a Mattarella e che ha preceduto la risposta del presidente della Repubblica “era uno sfogo – racconta Elena -, volevo condividere il mio dolore.

Ho parlato di quello che mio padre era per me e di come vorrei che la sua memoria restasse: molti lo definivano un gigante buono, per la sua infinita bontà d’animo. Era orgoglioso delle sue origini siciliane, era di Biancavilla, ai piedi dell’Etna. Abbiamo ricevuto l’affetto dei colleghi e degli agenti della polizia penitenziaria, che ci hanno confermato ciò che abbiamo sempre pensato di lui, ovvero che fosse un grande uomo”.

“Forse se non fosse stato immunodepresso – continua -, ce l’avrebbe fatta. Aveva subito un trapianto, a parere mio e della famiglia non doveva lavorare. Il calvario è iniziato l’11 marzo. Aveva la febbre ma non problemi respiratori. Il giorno dopo lo abbiamo portato in ospedale e, dopo aver aspettato l’esito del tampone, è stato ricoverato in nefrologia. Il 26 è stato portato in terapia intensiva. Da quel momento, è iniziata un’agonia che, per me, non è ancora finita.

Le ultime parole al telefono, prima che lo addormentassero, sono state: ‘Stai tranquilla, mi addormentano perché è l’unico modo per farmi riprendere. Non ti preoccupare’. Invece, il 6 aprile è morto.

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