“Una guerra fra persone perbene (Di Matteo e Bonafede), ambedue ben consapevoli che ci si può dividere su tutto ma non nella lotta alla mafia. Che invece rischia proprio lacerazioni profonde nel surreale clima creato ad arte da chi fino a ieri considerava Di Matteo un laido giustizialista incompatibile con lo Stato di diritto: e oggi invece lo usa strumentalmente come uno splendente totem in funzione anti Bonafede”.
Lo scrive sul Fatto Quotidiano, Gian Carlo Caselli, già procuratore di Palermo e Torino, a proposito dello scontro tra il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e il Pm Nino Di Matteo.
E osserva: ”E non è un caso che Bonafede con la stringata risposta nel “question time” di ieri abbia precisato che quelle con Di Matteo furono “normali interlocuzioni per formare una squadra”.
Dato atto a Di Matteo che l’idiosincrasia per ogni indebito intreccio fra la sua figura e la parola “trattativa” è comprensibile e giustificata; preso atto altresì (intervista a La Stampa) della sua esplicita dichiarazione: “Io non faccio illazioni. E non penso minimamente che il ministro Bonafede sia colluso con la mafia”; é troppo sperare che la violentissima querelle possa placarsi e concludersi?” ”Senza dubbio gioverebbe una chiara ammissione del ministro: vale a dire che – precisa Caselli – ferma restando la sua autonomia in scelte di quel livello, era e rimane criticabile la nomina a capo del Dap non di Di Matteo, ma di un magistrato con ben altre caratteristiche. Mentre Di Matteo dovrebbe convincersi che abbandonare il proprio cuore alla tristezza e alle recriminazioni non aiuta. Rischia anzi di lasciare macerie sul terreno dell’antimafia quando finiranno i rantoli di questa guerra”.