“Sembrano decisioni prese più sulla scorta di spinte emotive e di interessi di parte che sui numeri”.
Così in un’intervista a ‘Repubblica’ il virologo Andrea Crisanti, ordinario all’università di Padova.
Non riaprirebbe il 4 maggio? “Non in queste condizioni – risponde – I numeri sono uguali ai giorni del lockdown”.
Per individuare i focolai nella Fase 2 “ci vogliono diagnosi fatte via telefono. Vanno geolocalizzati i possibili casi e con software che già esistono – spiega – si può capire se in una certa area si sta formando un cluster. Se si ha questo sospetto, si chiude l’area e si fanno tamponi a tutti, come a Vo’. L’unica cosa che funziona”.
Ci si è attrezzati in questo senso per la Fase 2? “Non mi sembra che si siano fatti investimenti sulla medicina territoriale. Ma devo ammettere che conosco molto bene solo la realtà veneta: qui a tutti i neolaureati in medicina è stata proposta l’assunzione nelle strutture sanitarie territoriali. Altrove non so. Credo – sottolinea – siano stati spesi inutilmente moltissimi soldi per i test sierologici: al massimo ci dicono se una persona è venuta in contatto con il virus. Ma non ci dicono se è guarito o se può contrarre di nuovo la malattia”.
Della app Immuni dice Crisanti “non serve a niente se non si ha la capacità di fare tamponi a tutti. Anche perché la app farà esplodere la richiesta di tamponi. Mi spiego. È ragionevole pensare che i nuovi casi positivi siano molti di più di quelli ufficiali, diciamo 10mila. Se ognuno di loro vede 10 persone al giorno, ci sono 100mila nuovi contatti, tracciati dalla app, che andrebbero verificati con un tampone. Centomila tamponi che vanno a sommarsi ai centomila necessari per personale medico, forze dell’ordine, ecc. Siamo pronti a fare 200mila tamponi al giorno?”.