L’acropoli di Paternò, investire nella ricerca storica: lo scenario utile del dopo Covid-19

La collina storica – o forse è meglio dire, l’acropoli di Paternò – è un luogo, che conserva (velati) i “documenti” storici, culturali e naturali che ne descriverebbero la stratificazione nel tempo (dall’era geologica alla contemporaneità), la funzione geografica (commerciale, politica e religiosa), la sua natura antropologica.

La letteratura storica – dagli antichi ad oggi – ha fornito utili indicazioni per ricostruire un possibile scenario storiografico che, a dire il vero, in pochi hanno sviluppato: Placido Bellia 1808, Gaetano Savasta 1911, Salvo Di Matteo 1976 e Vincenzo Fallica più recentemente. C’è poi una produzione periferica che ha attinto a piene mani dagli studiosi di cui sopra e un patrimonio di ricerche isolate (archeologiche, antropologiche, archivistiche), a partire dalla fine del ‘700 fino ad oggi, che non hanno espresso la consistenza e la relazione tra questo territorio e il più ampio ambito della Sicilia dentro il mediterraneo. Forse bisogna ripartire da Paolo Orsi e Giovanni Rizza.

Gli stessi studi archivistici sono stati sempre settoriali e tematici, circoscritti a singoli personaggi, luoghi o eventi. La stessa cosa si può dire per le indagini archeologiche, urbanistiche e artistiche, spesso frutto del caso o dell’interesse personale. Il primo e l’ultimo a scrivere una storia della città è senza dubbio Salvo Di Matteo, storico palermitano – recentemente scomparso – che ha pubblicato due edizioni di “Paternò, nove secoli di storia e di arte” che ha permesso, a molti studenti e ricercatori, di orientarsi nel labirinto della storia.

Il risultato di tali produzioni è la consapevolezza che nulla è stato approfondito. Emergono, in questo senso, vuoti temporali, approssimazioni storiche, luoghi comuni e leggende scientifiche. Parti della storia di questa città rimangono oscure e indecifrabili. Se da una parte si registra una vivace attività di scavi clandestini – oltre alla conoscenza di collezioni prestigiose a Siracusa, Berlino e Catania, che espongono reperti prestigiosi di questa città – dall’altra si prende atto di un disinteresse ad approfondire precise fasi storiche (greco-romana, bizantina e araba) fino a consolidare l’idea nelle stesse istituzioni preposte alla ricerca che Paternò rimane un caso irrisolto, un punto collocato per caso in una geografia incompiuta.

Se la ricerca fosse svolta in chiave multidisciplinare, rimettendo in discussione alcuni assiomi che hanno condizionato l’orientamento della ricerca, si potrebbe riconfigurare lo scenario a cui appartiene Paternò, la sua acropoli e l’area sacra delle Salinelle, inquadrando tutto nel più ampio ambito delle città più studiate come Mineo, Militello, Adrano, Centuripe e Catania. Tale anomalia metodologica ha determinato la costruzione di teorie storiche, parziali e contraddittorie, privando questa realtà delle risorse economiche e umane che meriterebbe.

Diventa più complicato attirare risorse pubbliche e gli interessi scientifici sull’acropoli di Paternò. Di conseguenza i pochi scavi realizzati (tranne quelli emergenziali), e la poca attenzione della comunità locale alle indicazioni del Piano Paesaggistico, l’indifferenza ai vandalismi culturali, la precarietà di un museo-deposito che oggi sembra abbandonato a se stesso, l’improvvisazione nella gestione dei beni culturali e dell’indotto turistico, la perifericità di questo distretto, rispetto a tutti i circuiti culturali, artistici e della mobilità.

Se non si guarda in faccia la realtà, si rischia di compromettere il futuro prossimo. Non è il momento delle accuse ma quello della consapevolezza. Le ragioni che hanno portato a questo dato di fatto sono esterne ed interne. Circostanze casuali quelle esterne, e di pigrizia intellettuale (oltre alla cultura del nascondimento) quelle interne. Ma le recenti scoperte d’archivio e le ricerche sui documenti-monumenti, ci spiegano come tale anomalia – in ambito locale – è secolare, quasi da far pensare a una maledizione templare.

Da qualche anno a questa parte, la Soprintendenza ai Beni Culturali di Catania, le scuole, le associazioni, l’università e l’Ingv (con il recente impegno assunto dal Presidente della Regione Sicilia) stanno mettendo in atto o programmando una serie di azioni che potrebbero invertire la rotta. Il nascondimento si può trasformare in svelamento. La ricerca può diventare sistemica, analitica e multidisciplinare. Lo studio deve ripartire dalla morfogenesi della natura e della città, inserendo Paternò in un più ampio sistema di città storiche. Quindi a partire dalla mobilità che ha disegnato i territori. Siracusa, Lentini, Paternò, Adrano, Centuripe e Catania sono parte di questa costellazione che non può registrare vuoti o eccentricità.

Serve modificare il metodo di lettura nella definizione della forma della città ed essere disponibili a rimettere in discussione le certezze acquisite. Serve una visione di sistema per approfondire la storia, serve ripartire dalla forma delle architetture/documenti per ricostruire un nuovo scenario. L’acropoli di Paternò era il crocevia delle direttrici Agrigento-Messina e Catania-Palermo. Le Salinelle un santuario antichissimo che si trovava lungo le direttrici principali a scala regionale e che raccoglieva offerte votive da ogni luogo. Ripartiamo da questi elementi, forse potremmo riscrivere la storia con maggiore scientificità. Un’occasione per approfondire la forma della città ai tempi di Gelone, Ierone e Dionisio di Siracusa.
Servono più investimenti nella ricerca storica a Paternò, potrebbero svelare scenari ad oggi impensabili. Investire nell’armatura culturale è una delle strategie più utili nel dopo Covid-19. La politica deve sollecitare gli attori di questa filiera.

Foto: Domenico Arcoria
Cartografia: Ornella Palmisciano

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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