Domiciliari da virus: guardare fuori dai balconi per trovare l’orizzonte di senso della nostra vita

Siamo tutti a casa o quasi tutti. La maggioranza degli italiani, credo.

Lavoro agile, a distanza, mascherine, lezioni on line e il rito del comunicato della Protezione Civile. Tutti i canali tv, per l’intera giornata, dedicano gran parte del loro palinsesto agli approfondimenti dell’emergenza Covid-19. Lo stiamo facendo anche noi, lo stiamo facendo tutti. Molte delle notizie che occupavano i telegiornali sono scomparse o scivolate in coda. Gli storici si interrogano se mai ci sia stata un’emergenza simile nella storia dell’uomo: certamente, ma mai così mediaticamente ridondante.

Grazie ai programmi in TV, tutti stiamo diventando esperti in epidemie, virus, curve previsionali e modelli matematici. Il prof. Massimo Galli di Milano è ormai uno di casa e con lui l’esercito di virologi, epidemiologici, economisti, infermieri, presidi, sindaci e governatori di regione. Ci sono canali che mandano in onda la storia della pandemia, dalle prime notizie dalla Cina fino all’ultimo deceduto in Inghilterra, una ‘non stop’ di due ore, in tarda serata sulle reti Rai.

Segui la curva, si abbassa, no s’impenna, forse comincia l’andamento orizzontale. Meno morti, più guariti, meno contagiati. Tutti a casa, tutti in quarantena. Un bollettino di guerra anche se qualcuno consiglia di non chiamarla guerra. Nelle conversazioni – spesso telefoniche o su skype – non si parla d’altro. Quando finirà tutto? Quale è la soglia massima di sopportazione del sistema economico nazionale e internazionale? Perché la verità è che siamo tutti legati da un unico mercato mondiale. Questo dovrà farci riflettere in futuro. La bellezza della complessità del sistema.

Ma nel frattempo che parliamo di emergenza sanitaria ed economica, c’è da fare i conti con l’emergenza psicologica. Depressioni, paure, aggressività, intolleranza, claustrofobia, irrequietezza e tanto altro ancora. Tra le ore passate davanti al monitor e la sensazione di essere prigionieri – pur dentro le proprie mura – emergono diverse anomalie nel comportamento. Si potrebbe costruire una mappa dell’emergenza anche solo guardando quello che pubblichiamo sui social. Paesaggi esotici e vacanze, torte e biscotti, feste da ballo della nostra adolescenza, le foto di quando eravamo giovani, i progetti mai realizzati. Ognuno mostra qualcosa di sé, di quello che è stato o di quello che voleva essere.

Stare dentro case non è uguale per tutti, dipende da ognuno di noi e da come si vive il momento; ma dipende anche dalla casa. Da quanto è grande, da cosa permette di vedere dalle finestre, dai colori delle pareti, dalla presenza di natura dentro, da cosa permette di fare, dalla distanza dal supermercato, dalla connessione internet e dalla luce. Allora l’uomo si adatta, si organizza intorno al suo habitat, cercando di trovare un equilibrio tra i presenti: figli, mariti, mogli, nonni, ecc.

Uno per stanza? Tutti nello stesso ambiente?
La casa diventa il microcosmo della città. Le camere da letto come alberghi, la cucina come un ristorante, il soggiorno come una piazza, i balconi come un parco, i corridoi come strade. I cori dai balconi, di qualche settimana fa, ne sono la prova. Fa riflettere questa metafora casa-città, e chissà se nel progettare gli spazi del futuro si terrà conto di tutto questo. Architetti e design si stanno già interrogando e cominciano a formulare nuovi modelli dell’abitare.

Ma dentro le nostre case si consumano anche le violenze di sempre, verso i minori e verso le donne e un imprevedibile paradosso che nessuno osa ammettere. Dopo molte settimane dentro casa abbiamo difficoltà a uscirne. Per chi rispetta le ordinanze uscire sta diventando difficile. Quasi il desiderio morboso di ritornare dentro. Siamo impegnati a riconfigurare i nostri spazi, impegnati nei lavori domestici, a fare biscotti, improvvisandoci barbieri e parrucchieri. Abbiamo abbassato la guardia, non dobbiamo cambiare vestiti, sistemarci per uscire e questo ci sta cambiando. Nessuno lo ammette ma sotto sotto, vogliamo restare prigionieri. Questa è un’altra conseguenza del covid-19 con cui dovremmo fare i conti, speriamo prestissimo. La normalizzazione sarà faticosa, anche sul piano psicologico, ma l’uomo ha dimostrato, nei secoli, che può sempre farcela. Dobbiamo stare dentro, dobbiamo farlo meglio che possiamo, ma dobbiamo guardare fuori dai balconi per rieducarci all’orizzonte perduto e ridisegnare la nostra vita dopo l’emergenza. Dobbiamo farlo.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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