Sicilia, l’isola città: un arcipelago di umanità che non sa essere una megalopoli

La Sicilia ha una popolazione di cinque milioni di abitanti, con una densità di 194 ab/Km². Con questi numeri potrebbe essere la 37ª megalopoli mondiale e la prima grande città d’Italia.

Per fare qualche esempio e un raffronto dobbiamo pensare a Chongqing che ha una densità quasi del doppio (400 ab/Km²) e Shanghai, con un territorio di poco inferiore (17.000 Km² ); entrambe sono in Cina e collocate rispettivamente al primo e al secondo posto, tra le più grandi città del mondo.
Quindi una possibile città/isola dai connotati green, crocevia di importanti rotte commerciali che collegano diversi continenti. Multietnica, con un patrimonio culturale e ambientale straordinario. Una storia millenaria, ricca di parchi naturali e archeologici, bagnata da un mare incantevole. E come dice Johann Wolfgang von Goethe: “L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto» […] «La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra… chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita.”

Gli scenari politici e demografici, che si sono stratificati nei secoli; le reti commerciali, le polarità sacre, la morfologia e le linee dell’acqua compreso i grandi landmark naturalistici di questa terra, sono alla base della sua struttura abitativa, sono le ragioni che hanno determinato la sua storia, la sua genesi e la sua sopravvivenza. Isolata dal mare e nello stesso tempo, collegata attraverso lo stesso mare.
Bisogna immaginarla come una grande megalopoli, ricca di quartieri (città e campagne) e parchi (natura), connessa da una rete di strade, ferrovie, porti e aeroporti. Visione già consolidata e più volte rappresentata da urbanisti, economisti e filosofi negli ultimi decenni ma rimasta utopica.

Una visione politica che metterebbe al centro del dibattito l’idea di costruire un governo regionale-metropolitano che superi la frammentarietà di norme e consuetudini campanilistiche che disperdono solo risorse ed energie. Regolamenti, investimenti, strategie, obiettivi, risorse, prevalentemente comunali e settoriali. Scuola, sanità, mobilità, solidarietà, ambiente, cultura, produzione, diventano le parti di una coperta da tirare da una parte o dall’altra. Su molti di questi settori si sono già avviate politiche regionali, specie sulla sanità (che in questi giorni è stressata, oltre ogni immaginazione) ma rimane un vuoto tra le parti e questo vuoto è prima di tutto rappresentato dalle politiche sulla mobilità, intesa – alla scala regionale – come fosse una rete urbana metropolitana; tale da essere intensa, capillare, pubblica e accessibile.
Oggi ci poniamo il problema di come e quando raggiungere i luoghi, le sedi, i poli della comunità. Oggi tentiamo di riallacciare rapporti urbani spenti, dismessi, dormienti per porre rimedio alle strategie di sviluppo che dal dopoguerra in poi hanno acceso o spento territori senza nemmeno valutarne le possibili conseguenze e implicazioni. Amplificando così la desertificazione culturale, produttiva e ambientale delle aree interne.

Oggi proviamo a proporre un nuovo paradigma che invece affonda le sue radici nell’antichità. Il rapporto tra città, territorio e mobilità (per terra e per acqua) era funzionale e organico. Lo studio della rete viaria storica – dai siculi-sicani ai Borboni – può spiegarci meglio le gerarchie, i nessi e le forme dell’abitare.
Quest’approccio che lo stesso Paolo Orsi nel 1907 suggerisce: “Chi ponesse mano allo studio della viabilità della Sicilia antica, da nessuno mai tentato, arriverebbe alla singolare conclusione che quasi tutte le vecchie trazzere non erano in ultima analisi che le pessime e grandi strade dell’antichità greca e romana, e talune forse rimontano ancora più addietro”; permette di ricostruire un tessuto di identità, di giacimenti e di significati che si sono persi nel tempo e non sono stati indagati a sufficienza, per dimenticanza e per apatia.

Basterebbe una semplice provocazione per accendere il dibattito. Platone, nel 388-387 a.C. – sbarcato non sappiamo dove – raggiunge la sommità dell’Etna. Quale via percorre, quali città visita? La città di Siracusa, dovendo contrastare le forze Cartaginesi che scendono da Messina, dove colloca i mercenari campani per difendere il territorio? Lo stesso imperatore Adriano visita l’Etna come Empedocle. Da dove arrivano, quali città visitano. Stessa cosa per Goethe, quando da Enna viaggia verso Catania. Oppure gli ateniesi che fuggono da Centuripe verso l’amata patria, quale strada o fiume percorreranno?
Le città sono collocate lungo una rete che connette santuari, luoghi di produzione, porti, presidi di difesa, stazioni di scambio, ecc. Una rete regionale che garantisce l’accessibilità costiera e delle aree interne. Questa rete – quella greco-romana – diventa bizantina, araba, normanna e collega ancora oggi le città. Questa rete è forse il reticolo su cui bisognerebbe ricostruire il tessuto connettivo della città-regione. Il sistema arterioso che fornisce vita alle perifericità della Sicilia, trasformandole in un nuovo palinsesto di opportunità. Potrebbe essere un errore pensare a categorie come aree interne contro aree esterne. L’idea di reticolo organico e funzionale rappresentato dalla mobilità storica è più coerente.

Le campagne, la natura, le aree industriali, residenziali e dei servizi si riconnettono e diventano città.
Una chiave di lettura per programmare e pianificare e nello stesso tempo, un metodo per ridefinire il quadro storico e ricollocare le urbanità perse.

Spesso pensiamo alle città come fossero isole nel mare e scordiamo, invece, che sono un arcipelago di umanità, collegate da rotte diventate invisibili. Queste tracce, quelle solcate sin dall’antichità, spiegano le forme, i significati e le trasformazioni di ogni singolo paesaggio urbano. Svelano la natura sistemica di un territorio attraverso la lettura del palinsesto sacro, politico ed economico. Anche questo è un modo di percepire la Sicilia, pensata come Città-Regione.

Foto di copertina: elaborazione grafica di Ornella Palmisciano

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.