In questi giorni di isolamento e di riflessione, causati dall’emergenza Coronavirus, tanti cominciano a prefigurare nuovi modelli di habitat per il nostro prossimo futuro.
Lo avevano detto in molti – ambientalisti, scienziati, teologi, futuristi, filosofi e antropologi – che il nostro pianeta, prima o poi, avrebbe presentato il conto, alla società post industriale che ha la colpa di accelerare i processi evolutivi del pianeta. Le questioni climatiche, energetiche, demografiche e delle risorse idriche sono i temi che la comunità internazionale – anche alla scala geografica e locale – deve affrontare nel breve e medio periodo, prima di correre il rischio di arrivare a un punto di non ritorno.
Virus misteriosi, insetti infestanti, emigrazioni fuori controllo, desertificazioni in espansione, diseguaglianze sociali ed economiche e diminuzione delle diversità biologiche, sono alcuni degli effetti più evidenti delle nostre politiche di sistema. In questi giorni siamo tutti costretti – nostro malgrado – a rallentare, a decrescere, a diminuire le velocità espansive e di produzione. Lo scenario previsto dai modelli matematici è catastrofico, i governi del pianeta – tranne qualche folle – si stanno rendendo conto che è venuto il momento di fare qualcosa di coerente e concreto, oltre le formulette di rito e le dichiarazioni di forma.
Cambierà l’habitat. Cambieranno le nostre abitudini. Cambieranno le nostre relazioni sociali e culturali. Cambierà la percezione del futuro, forse anche alcune liturgie sociali. Assistiamo ad eventi inattesi, che mettono a dura prova le nostre culture locali. Andare a messa, stringere la mano, fare la spesa, andare al cinema e al ristorante, passeggiare, incontrarsi con gli amici, giocare a calcio, studiare a scuola, prendere un caffe, volare, viaggiare; andare a una festa o un concerto. Tutte azioni che oggi vengono soppresse, mitigate, eliminate.
Ma dentro questo scenario, inquietante e surreale, si intravedono, gli elementi utili per immaginare un futuro diverso, consapevoli del rischio di perdere, quello che tutti noi, consideravamo ovvio e ordinario.
L’ambiente abitato del futuro dovrà rispondere a nuovi livelli prestazionali, a nuove esigenze derivate dalla modifica delle condizioni ambientali, sociali ed economiche. Quello che emerge, in questi giorni, è prima di tutto la dimensione globale di ogni fenomeno-evento. I nodi emergenti da risolvere sono: l’igienizzazione (di luoghi e persone), la compartimentazione (intesa come capacità di isolare per gradi, porzioni di ambienti interni ed esterni), la connessione (digitale). Le città potrebbero essere delle enormi stazioni orbitanti, delle astronavi che fluttuano vicino la crosta terrestre che nel frattempo può essere restituita alla natura selvaggia e a quella addomesticata (campagne). L’astronave può diventare un possibile archetipo oppure luoghi (del nostro attuale vissuto) chiusi da bolle di vetro ad atmosfera controllata, come se vivessimo su Marte.
I nostri spazi interni – privati, pubblici e collettivi – trasformati in moduli essenziali, componibili, espandibili, domotici; attrezzati per proporre orizzonti e paesaggi virtuali, in sostituzione di finestre e vetrate. Super connessi e con ingresso dall’alto per permettere ai droni, di consegnare oggetti, alimenti ecc. Basta ricordare Star Wars oppure Metropolis.
I rapporti umani diretti ridotti a pochi eventi eccezionali. Un mondo di realtà virtuale e aumentata. Liturgie religiose online, processi online, scuola online, online, online, online, anche offline o in cloud. Superfici asettiche, igienizzate. Suoni programmati, ovattati. App, dispositivi digitali integrati, ambienti e documenti smaterializzati, uniformità e serialità. Negli ambienti domestici non ci saranno più le cucine ma solo spazi per lo stoccaggio (caldo, freddo) dei cibi, che verranno preparati altrove, industrialmente (anche in versione gourmet). Nascite controllate, indirizzate geneticamente per soddisfare esigenze funzionali al sistema.
Abbiamo esagerato (almeno speriamo di averlo fatto) ma l’obiettivo era quello di stressare lo scenario – che magari si realizzerà tra un secolo – per individuare alcune criticità. Questa crisi sanitaria impone una riflessione più ampia sull’abitare, sulle relazioni umane e sulla natura. Il pianeta ci ospita, accoglie le nostre abitazioni e sostiene le nostre necessità personali e sociali. Questo significa che dobbiamo pensare a nuovi modi di abitare questo pianeta, più equi, più sostenibili, più versatili, più sicuri. Forse un giorno occuperemo il sottosuolo o i fondali del mare. Forse fluttueremo nell’atmosfera, forse abiteremo la luna. Ma comunque vada, non possiamo rinunciare ai rapporti umani, alle strette di mani, agli abbracci, alla possibilità di pregare insieme, di gioire insieme, di mangiare tutti insieme.
Il coronavirus serve anche per riflettere sul concetto di solidarietà, di appartenenza, di rinascimento. Le immagini degli italiani che cantano e suonano dai balconi è forse l’immagine più bella di questo Paese, che amiamo poco. Vedere la gente salutarsi e parlare dai balconi – come avveniva tanto tempo fa – è straordinario. Un fiume di iniziative culturali, l’augurio collettivo che tutto passerà; i disegni dei bambini; le telefonate per dare conforto a chi è in ansia; l’eroismo di medici e infermieri e di tutti gli operatori pubblici e privati che garantiscono equilibrio, serenità e continuità dei servizi; e poi i ragazzi che chiedono di tornare a scuola, quella scuola che tanto abbiamo bistrattato.
Non rimane – adesso che tutti siamo a casa – che pensare a cosa faremo dopo, a progettare il futuro, a prepararci per cambiare il mondo, facendo tesoro di questa lezione. Non rimane che studiare, disegnare, leggere, scrivere, sorridere, fare biscotti – tra un lavoro agile (per gli anglosassoni ‘smart working’) e una visita al supermercato. Senza dimenticare chi – in questo momento – lavora per noi; o chi ha dovuto chiudere le saracinesche dei negozi o bloccare le attività produttive e si aspetta da Noi, dal Paese e dall’Europa, un sostegno vero, concreto, immediato, definitivo, utile per ripartire tutti insieme. Andrà tutto bene. Ma serve il nostro impegno responsabile per poterci riabbracciare.