di Matteo Licari
Nella cornice solenne, festosa, di incomparabile bellezza artistica e di perfezione acustica che tutto il mondo ci invidia, quella del nostro Teatro Massimo Bellini, abbiamo assistito ad una edizione della Carmen di Georges Bizet che, riteniamo, sarà ricordata per tanto tempo. Voluta dal Sovrintendente nuovo di zecca Giovanni Cultrera, l’ha riportata a Catania Luca Verdone, regista a tutto tondo che ha esplorato e percorso quasi tutti gli ambiti dell’attività registica, dal corto al lungometraggio, dal teatro vero e proprio alla televisione, alla lirica appunto cui, in questi ultimi anni, s’è dedicato in modo particolare.
La direzione d’orchestra è del Maestro Fabrizio Maria Carminati, che del Teatro Bellini è anche direttore artistico. I panni di Carmen l’ha rivestiti la mezzosoprano russa Anastasia Boldyreva, quelli di Don Josè il tenore Gaston Rivero, Escamillo il baritono Simone Alberghini e Micaela il soprano catanese Daniela Schillaci; Maestro del coro Luigi Petrozziello e delle voci bianche Daniela Giambra. Le scene sono dello stesso Verdone. Si replica fino al 3 Marzo.
A beneficio dei nostri lettori, per sintesi e maggiore chiarezza esprimeremo il nostro giudizio critico attraverso i numeri: 9 la regia, 9 la direzione d’orchestra, 9 le performance dei cantanti, 9 le scene, 9 i cori, insomma 9 su tutte le ruote. Uno spettacolo gradevolissimo. Il lettore malevolo ci chiederà: in ragione di cotanta grazia perché non 10 su tutto? Perché pare a chi scrive che il 10 possa essere frainteso e scambiato per adulazione e non abbiamo intenzione di cadere in simili trappole dialettiche.
Chiuso questo breve capitolo informativo, vi rendiamo ora conto di una nostra intervista esclusiva al regista Luca Verdone.
Maestro, qual è l’idea-forza della sua Carmen?
– L’idea-forza di questa Carmenè racchiusa in una serie di aggettivazioni: è mediterranea, è passionale, di una passionalità tutta siciliana; ho pensato molto al vigore della passione della “Lupa” di Verga, alla sua tragica teatralità; nel rispetto delle buona educazione e della convenzione, direi che questa Carmen è fortemente erotica. Ci ho messo dentro tutti i colori possibili – nei costumi, nelle scene, nel gioco delle luci – proprio per sottolineare, la solarità di Carmen e il suo fascino corrusco.
Erotismo, solarità e fascino che la condurranno alla morte.
– Sì, il finale è tragico, lei viene uccisa. Mi pare bizzarra l’idea di chi in passato ne ha invertito il finale facendo morire Don Josè. Carmen muore come risultato dell’intera azione drammaturgica alla quale la musica stessa si adatta perfettamente.
Lei sottolinea con forza il significato di delitto frutto della volontà di dominio dell’uomo sulla donna, un comportamento tribale che sfocia in quello che oggi chiameremmo femminicidio.
– È vero. Considero la storia di Carmen come un femminicidio vero e proprio. Un tema molto sentito di questi tempi, e non a torto.
È dal 1875 che si rappresenta Carmenin tutto il mondo e ognuno in tutto questo tempo ci ha visto cose, insegnamenti, conclusioni molto lontane dalle sue; a cominciare dal fatto che la narrazione ha quattro padri, da Prosper Mérimée che la partorisce sotto forma di novella, ai redattori del libretto Henri Meilh e Ludovic Halévy e allo stesso Bizet. Per più di un secolo, supportati dalla struttura drammaturgica e dal testo, intere generazioni hanno considerato l’assassinio di Carmen la naturale conseguenza della sua condotta estremamente passionale e al tempo stesso poco incline alla fedeltà. Una mangiatrice di uomini che li conquista, li usa e poi li getta via; in questo contesto Don Josè, lungi dall’essere un prevaricatore possessivo, è stato visto come la vittima della frivolezza e della vacuità di Carmen, un fesso! (perdoni l’immagine!) un boccalone che, brutalmente, si riscatta alla fine. Altri tempi, per fortuna.
– Ammetto che la lettura che ne è stata fatta è stata sempre cangiante in questo secolo e mezzo quasi di vita dell’opera. Tuttavia io sottolineo un aspetto direi nobile di Carmen, la sua voglia di libertà, affermata da lei sin davanti al supremo sacrificio; e la libertà è con la vita il bisogno più grande dell’intera umanità, maschi e femmine.
Concordo. Carmenè un’opera lirica che celebra la libertà, la vita e … l’Amore.
Ci ha fatto caso Maestro? Il testo contiene almeno un centinaio di volte la parola Amore (Amour in francese), ma di amore come dono di sé all’altro non se ne vede nemmeno un briciolo. Gli amori di Carmen si consumano come paglia al fuoco, Don José e il torero Escamillo piuttosto che amarla, la vogliono, vogliono possedere Carmen, con la stessa voglia con la quale si desidera un trofeo, una cosa di esclusiva proprietà.
– È così. E’ uno dei tratti eterni negativi della personalità di tanti uomini e donne, credere di amare quando invece si vuole solo possedere.
Le chiedo adesso dell’Amore, quello con la A maiuscola, quello del dono di sé all’amato, quello che lega i tre fratelli Verdone (Carlo, Luca e Silvia)
– Ripensare all’affetto che ci lega mi commuove anche adesso. Èil frutto dell’amore di mio papà Mario e di mia mamma Rossana. Siamo tre fratelli che hanno avuto dei maestri d’amore nei loro genitori, modello di quello che lei ha chiamato dono di sé.
Una famiglia prodigiosa, di un prodigio intimo e personale per ciascuno, e di un altrettanto prodigio di bravura, capacità professionale e umana.
– Sì, anche mamma che è la meno conosciuta era una bravissima pianista, così come Silvia che è conosciuta dal grande pubblico come la moglie di Christian De Sica è una abilissima produttrice cinematografica e teatrale.
So che il grande Zeffirelli stravedeva per lei, vero?
– Èvero. Franco fu amico di papà fin dal 1947 e frequentò sempre casa nostra. Voleva bene a tutta la nostra famiglia. Prima di morire, nell’estate di due anni fa, mi incaricò di ritirare a Taormina il premio internazionale alla carriera a lui dedicato e fu un compito che portai a compimento con immenso piacere e tantissima emozione.
Il suo esordio nel cinema avvenne con Sette chili in sette giorni con protagonista suo fratello Carlo e Renato Pozzetto.
– Come no! Era il 1986, fu un battesimo fortunato: per l’incasso che fu ragguardevole e per la fortuna stessa del film che oggi è considerato dalla critica un film cult degli anni ottanta e che ripassa costantemente in televisione.
Sa che Zeffirelli nel 1978 fece la regia di Carmena Ginevra?
– Sì, non l’ho vista. Sarà stata più bella della mia sicuramente.
Sarà stata, appunto. Or non è più. Godiamoci la sua che è; ancora.
Ci sorride, ci stringe la mano e, strattonato dal direttore di scena, si congeda; tra due minuti comincia lo spettacolo.