Palagonia, il femminicidio e il risarcimento negato: la Cassazione decide sul delitto di Marianna Manduca

Attendono una ”risposta di giustizia forte” i tre orfani di Marianna Manduca uccisa del giugno del 2007 a Palagonia, in provincia di Catania, da Saverio Nolfo, compagno e padre dei suoi figli. I ragazzi, poi adottati dal cugino della madre Carmelo Cali’ e dalla moglie, sono arrivati da Senigallia a Roma per l’udienza in Cassazione sul risarcimento corrisposto in seguito all’omicidio della mamma.

I tre orfani, in un iter processuale complesso, hanno visto riconoscersi in primo grado un risarcimento di 250 mila euro dopo che era stata ravvisata la responsabilità civile dei magistrati: la donna aveva infatti presentato 12 denunce contro l’uomo che l’ha poi uccisa a coltellate. Ma la Corte d’appello di Messina lo scorso marzo ha annullato quel risarcimento dando ragione alla Presidenza del Consiglio che aveva fatto ricorso sostenendo che i magistrati di Caltagirone fecero il possibile considerata l’assenza all’epoca di una legge sullo stalking. Una decisione che la difesa della famiglia di Marianna ha impugnato in Cassazione e oggi nell’udienza davanti alla terza sezione civile il pg ha chiesto il rigetto del ricorso.

”Ora attendiamo la decisione dei giudici della Cassazione. Oggi in aula abbiamo raccontato la storia di Marianna, che non e’ stato solo l’assassinio di una donna ma la storia di una richiesta d’aiuto rimasta inascoltata – ha detto all’Adnkronos l’avvocato Licia D’Amico legale difensore dei figli di Marianna al termine dell’udienza – Agli atti restano le sue denunce, dodici, tutte circostanziate e le ultime scritte tutte in maiuscolo: era il suo grido d’aiuto”.
All’udienza di lunedì erano presenti il cugino di Marianna e la moglie, la nuova famiglia dei figli di Marianna. ”Questa donna – sottolinea l’avvocato – ha fatto le veci dello Stato, delle istituzioni e della magistratura perché ha insegnato a questi ragazzi a credere ancora nella giustizia”.

La storia di Marianna, spiega ancora il legale, a cui e’ stata dedicata un’associazione ‘Insieme a Marianna’ ”e’ stata costellata da decine di reati ‘sentinella’. All’epoca non c’era la legge sullo stalking ma il codice penale si’. E se c’e’ una sentenza come quella della Corte d’Appello che ha negato il risarcimento ai tre figli di Marianna e che dice che questo femminicidio non poteva essere evitato allora va spiegato che senso ha dire alle donne di denunciare”. Nel suo intervento davanti ai supremI giudici l’avvocato D’Amico ha citato una sentenza delle Sezioni Unite relativo a un provvedimento delle sezioni disciplinari del Csm dove si richiamava la necessità di ”riempire il dovere di diligenza, tramite il quale il magistrato è tenuto ad adempiere all’attività funzionale, di un contenuto non solo formalistico o burocratico” ma ”coerente con l’esigenza di tutela effettiva dei beni/interessi”.

Un femminicidio che ”ha lasciato tre orfani che in caso di un verdetto negativo potrebbero dover restituire quel risarcimento che gli ha permesso di mettere su un bed and breakfast. Chi ne aveva facoltà – sottolinea l’avvocato D’Amico – poteva rendersi conto che la vicenda di questi ragazzi non e’ una storia come le altre e poteva aiutare questa famiglia con cinque adolescenti. Ma si e’ scelta la via dei ricorsi. E l’unico aiuto in questi anni e’ arrivato dalla stampa che ci ha sostenuto dando voce a questa storia. Una vicenda in ogni caso non potra’ chiudersi qui e siamo pronti, se l’esito non sara’ favorevole, ad arrivare fino alle corti europee”.

PARLA IL FIGLIO: “DI MIA MADRE RICORDO…”
“Di mia madre ricordo i capelli neri e il sorriso. Era una ragazza giovane, bella e spesso triste. La ricordo quando andava a lavorare e mi diceva: ‘Mi raccomando comportati bene e bada ai tuoi fratelli piu’ piccoli'”. Carmelo Cali’ Nolfo, figlio di Marianna Manduca, racconta cosi’, intervistato dall’agenzia Dire, la giovane mamma uccisa a Palagonia nell’ottobre del 2007 dal marito Saverio Nolfo, dopo anni di minacce e violenze che gli erano valse 12 denunce, rimaste inascoltate. In attesa della sentenza della Cassazione, che decidera’ se a Carmelo e ai suoi fratelli spettano davvero quei 259 mila euro piu’ interessi che in primo grado gli erano stati destinati, in quanto vittime di uno Stato che con ‘negligenza inescusabile’ non aveva fatto nulla per evitare il femminicidio, ma che poi in secondo grado li aveva richiesti indietro, il ragazzo, ormai maggiorenne, racconta di una mamma che “cercava di lasciarci fuori dalle liti familiari e non ci raccontava delle aggressioni e delle minacce che subiva”. Allo stesso modo ricorda pero’ “la sua tristezza e la sua paura”, e la sua voglia di bambino “di essere piu’ grande, per poter essere un aiuto, per poterla difendere”. “Oggi i miei ricordi di allora si sovrappongono con le immagini di lei che ho visto dopo che la nostra storia e’ diventata una storia pubblica, con l’immagine che e’ la foto simbolo dell’Associazione ‘Insieme a Marianna’, che lavora per proteggere donne, ragazze, persone, dalla violenza di genere e che, iniziando dalle scuole, cerca di portare avanti il messaggio che la violenza non e’ inevitabile e che queste tragedie devono cessare- spiega Carmelo- Ormai ogni giorno c’e’ un femminicidio, sembra una cosa inarrestabile, e le vittime sono sole, senza nessuno che le aiuti”.

Punto fermo di questi anni sono stati per lui e per i suoi fratelli il cugino di Marianna, Carmelo Cali’, e sua moglie Paola, che dopo la morte della donna li hanno adottati e insieme ai loro due figli “siamo diventati una famiglia bella e numerosa- racconta il ragazzo- Loro sono i miei genitori, ci hanno scelto senza pensarci un momento, ci hanno cresciuto, senza nasconderci niente della nostra storia. Li ho sempre chiamati papa’ e mamma, perche’ sono questo. Io sono il figlio di Marianna, ma sono anche il figlio di Paola e Carmelo”.
Per quel padre biologico che oggi e’ in carcere, Carmelo usa nome e cognome, e non l’appellativo di papa’. “Mio padre si chiama Carmelo Cali’ ed e’ lui mio padre, non solo perche’ mi ha adottato, ma perche’ in tutti questi anni e’ stato lui il mio punto di riferimento, l’uomo che mi ha cresciuto, mi ha educato, mi ha rimproverato quando serviva- spiega- Per quanto riguarda Saverio Nolfo, quando uscira’ dal carcere spero per lui che sia un uomo diverso, che abbia capito i tremendi errori che ha fatto, che si sia reso conto di aver ucciso una ragazza che amava i suoi figli. Non ha ragione di cercarmi, io non sono piu’ suo figlio, a lui non penso e non voglio pensare”.

La vita di Carmelo oggi e’ simile a quella di tanti suoi coetanei: “Frequento le scuole superiori e faccio sport, un mondo che mi affascina e per questo mi piacerebbe lavorare in questo ambito un giorno. Con i miei fratelli piu’ piccoli parliamo anche dell’universita’ che vorremmo frequentare, ma il nostro futuro puo’ dipendere dalla sentenza di Cassazione ed e’ un pensiero difficile da tenere in testa”.
In vista della decisione della Cassazione, Carmelo non nasconde la sua preoccupazione: “In questi anni abbiamo attraversato momenti in cui in famiglia i soldi erano pochi e tutti abbiamo affrontato i sacrifici che servivano- racconta- Papa’ e mamma hanno sempre lavorato, poi la crisi economica ci ha messo a terra, e papa’, che aveva una piccola ditta di muratore, ha dovuto chiudere. Poi e’ arrivato il risarcimento riconosciuto dalla sentenza di Messina, un po’ di tranquillita’ economica per noi, e soprattutto un lavoro per far vivere la famiglia”. Con i soldi del risarcimento, infatti, “abbiamo comprato un piccolo immobile, papa’ lo ha sistemato e abbiamo aperto un b&b che ci da lavoro, e dove anche io, nei momenti liberi, vado a dare una mano. Lavorare li’ mi piace, anche perche’ nella nostra casa c’e’ la regola che tutti devono collaborare ed aiutare la famiglia secondo le proprie possibilita’. So che se in Cassazione va male, dovremo restituire tutto- conclude Carmelo- E con quei soldi se ne andrebbe non solo la possibilita’ per me e i miei fratelli di continuare a studiare, ma anche di continuare a vivere. Nessuno ha ascoltato mia madre Marianna, nessuno ha impedito che venisse assassinata, e adesso anche questo. Mi sembra ingiusto”.

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