Al “Real Collegio Capizzi” di Bronte si è tenuto un convegno sui Dsa (Disturbi specifici dell’apprendimento) organizzato da Elisabetta Orefice e condotto dallo psicologo professionista Gianluca Lo Presti. All’incontro sono intervenute la preside Grazie Emmanuele e la professoressa Lucia Firrarello che hanno evidenziato il cambiamento della didattica scolastica. Il convegno è stato, sia per i docenti che per gli specialisti, un’occasione di aggiornamento ed istruzione, riguardante in particolar modo bambini dislessici, discalculici e disortografici. È importante sottolineare che quando si parla di Dsa non si indica una cura da seguire, perché non è una malattia, ma, nello specifico, si tratta di un disturbo del neurosviluppo che riguarda la capacità di leggere, scrivere e fare calcoli in modo esatto.
Una larga parte del convegno è stata riservata alla figura del docente, che viene designato come risorsa e facilitatore dell’apprendimento. In quanto tale, egli deve studiare e creare, insieme agli specialisti, un Pdp (Piano didattico personalizzato) con adeguati strumenti compensativi e dispensativi, differenti a seconda dei bisogni di ogni alunno che presenta DSA.
“A mio parere – osserva lo psicologo Lo Presti – l’intero sistema scolastico sarebbe da rivedere”. Sì, perché non tutti possono fare i docenti. Pochi insegnanti si interessano della sfera privata dei propri alunni, poiché si limitano principalmente all’attività didattica e burocratica, trascurando la loro responsabilità morale e sociale.
Spesso la teoria non coincide con la pratica. Un docente ha il potere di demolire uno studente, demotivandolo sensibilmente con le relative conseguenze, oppure di elevarlo con gratificazioni e stimoli. Sono moltissimi gli insegnanti che hanno scarse competenze nella gestione di problematiche e limitate capacità relazionali nei confronti di alunni che presentano difficoltà relative ai Dsa e non (problemi personali, familiari, ecc.), causando loro danni psicologici e morali. Le responsabilità della scuola sono ovviamente enormi e riguardano lo sviluppo del soggetto non solo dal punto di vista culturale e cognitivo, ma anche relazionale e soprattutto emotivo. Nel momento in cui si accerta che un insegnante reca un danno oggettivo a livello emotivo al soggetto, accade che lo studente o il bambino rischia una sofferenza psicologica con un conseguente calo dell’autostima e dell’apprendimento.
“Il problema – afferma con convinzione il dott. Lo Presti – è che ogni soggetto reagisce in modo individuale e personale di fronte alle difficoltà che si presentano e, nella professione di docente, instaurare una buona relazione con ogni singolo alunno, è una condizione senza la quale non ci può essere un buon apprendimento.”
La stessa organizzatrice dell’evento, Elisabetta Orefice, ha raccontato di aver scoperto la sua dislessia solo a metà degli studi classici. All’inizio, la stessa è stata vittima di bullismo da parte dei compagni di classe e dei professori, ma adesso ha avuto la sua rivincita perché sta per laurearsi con l’intento di aiutare altre persone con la sua stessa “caratteristica”.
“Agli insegnanti – conclude il dottore – dico che ogni volta che dedicate poca attenzione agli alunni con DSA state commettendo un grave errore, perché ogni soggetto ha bisogno di attenzioni diverse e di un suo PDP elaborato appositamente secondo le sue esigenze e caratteristiche”.
Quella che ancora oggi è sconosciuta da molti è la “didattica dell’inclusione”. Essa fa capo a tutti i docenti ed è rivolta a tutti gli alunni, non soltanto agli allievi con BES (Bisogni Educativi Speciali). Si basa sulla personalizzazione e sull’individualizzazione del soggetto con lo scopo di promuovere in ogni studente sia un apprendimento consapevole e responsabile che uno sviluppo armonico, personale e sociale.
“Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia”. (Daniel Pennac).