Veronica Panarello non ha diritto ad alcuna attenuante: la sua condotta è stata “lucida” e “cosciente” e per questo è legittima, sottolinea la Cassazione, la condanna a 30 anni di reclusione per l’omicidio del figlioletto Loris Andrea Stival – avvenuto nel novembre 2014 a Santa Croce Camerina, nel Ragusano – inflitta alla donna dai giudici del merito.
Con la sentenza depositata oggi dalla prima sezione penale, la Suprema Corte spiega perché il 21 novembre scorso dichiarò inammissibile il ricorso dell’imputata contro il verdetto emesso dalla Corte d’assise d’appello di Catania nel luglio 2018: nessuna “amnesia dissociativa”, scrivono i giudici del ‘Palazzaccio’, ma “la condotta posta in essere dall’imputata subito dopo l’omicidio del figlio risulta lucidamente finalizzata al depistaggio delle indagini che sarebbero inevitabilmente seguite una volta scoperta la morte del bambino, con la immediata – si legge ancora nella sentenza – risoluzione di disfarsi del cadavere del figlio buttandolo in un canale in una contrada periferica, con la simulazione di una violenza sessuale ai danni del piccolo, con il disfacimento degli oggetti adoperati per commettere il delitto o comunque a esso riconducibili”.
Veronica Panarello, secondo la Cassazione, “non versava in stato confusionale, come la stessa ha cercato di far credere”, ma “al contrario era perfettamente cosciente e orientata nell’attività di eliminazione delle tracce del commesso reato e di depistaggio delle indagini”.