Di buono c’è soltanto che nessuno ci ha rimesso la pelle. Il quadro di devastazione offerto dalle immagini di venerdì notte, con un Porsche Cayenne che a mo’ di palla pazza va a sbattere a forte velocità contro auto e portoni di via Catania, fa sembrare Adrano come Beirut.
A poco più di due mesi da una tragedia immane, siamo di nuovo qui a parlare di sballo e alta velocità.
I 4 giovani morti il 13 ottobre scorso sulla SS. 121 e il dolore che ne è derivato ad una comunità intera, non hanno insegnato nulla. Il dolore non è servito a niente.
Perfino sulle strade cittadine, nel cuore della notte, auto potenti si trasformano in schegge di vento. Tutte le regole sembrano ormai saltate in aria. Dentro e fuori gli abitacoli, il clima di anarchia regna sovrano. E’ il Far West dei nostri giorni: ad Adrano – spiace dirlo in maniera così forte – ciascuno fa il cazzo che gli pare.
Alla ricerca di un alibi vigliacco che sposti l’attenzione sugli altri (il sindaco, le forze dell’ordine, il lavoro che non c’è e via discorrendo) ci preoccupiamo soltanto di soddisfare il nostro ego, divenuto ingombrante a tal punto da farci smarrire la più pallida cognizione di ciò che vuol dire serena convivenza.
Per tentare di dare un scossa – con la quasi certezza che tutto, poi, resterà inascoltato – tocca utilizzare le parole di don Gian Mario Botto, il sacerdote che ha celebrato – venerdì scorso a Roma – i funerali delle giovani Gaia e Camilla, travolte da un’auto: “Qual è il senso della nostra vita? Quando ti metti a guidare sbronzo o fatto, è questa la vita? Mandarla in fumo? Ci sentiamo onnipotenti e poi non riusciamo a seguire le regole base della convivenza. Ci riscopriamo tutti un po’ palloni gonfiati. Il senso della vita non è bere e fumarsela”.