Conoscere un “luogo” significa capire le ragioni della sua forma, individuare gli strati che lo compongono e trovare i nessi tra le parti. Significa indagare trasversalmente dentro la sua natura – fisica e trascendente – dentro la sua storia e cogliere l’essenza dell’umanità che lo ha trasformato nel tempo. La natura offre un palinsesto di forme, di cavità, di flussi, di posizioni, di risorse, che l’uomo provvede a modellare, a scavare, a sostituire; per costruire una costellazione di simboli e significati funzionali ad “abitare” questo spazio che chiama città.
L’uomo ha scelto di abitare un luogo in particolare e di modificarlo, coerentemente alla sua natura. Ha selezionato, tra molte possibilità, quella che riteneva più soddisfacente per sé e per la comunità; ha deciso di adattarsi alle pieghe, alle pendenze, ai suoi fiumi, ai suoi dei. Un atto fondativo che ha generato un recinto, una torre, una porta. Nello stesso tempo, ha trasfigurato le costellazioni celesti, nella città di pietra; ha determinato una fitta rete di connessioni, tra le parti naturali e culturali che lo compongono.
Le ragioni più intime che hanno determinato la formazione della città sono: teologiche, commerciali e sociali. La città come allegoria dello spazio divino; la città come spazio produttivo; la città come luogo dello scambio. La sua forma è cinicamente aderente alle sue funzioni primarie; razionalmente radicata alla sua natura; liturgicamente connessa al cielo e alla terra, dentro e fuori, fino a diventare un organismo espansivo e metabolico. Un luogo che accoglie, respinge, sostiene, incoraggia, produce, lasciandosi attraversare – contaminando la sostanza fisica e culturale che vive tra le sue pieghe.
Ma alcune città hanno paura di comprendere queste tensioni, hanno paura di svelare, di scoprire. Come una malattia, scatenano la cultura del “nascondimento”. Sono preoccupate di “ammucciare” (nascondere) persino la propria storia; queste, le città, lo fanno in maniera seriale, cercando di coprire ogni traccia della propria morfogenesi. Si costruisce in questo modo una letteratura esoterica, misteriosa, romantica. Il nascondimento impegna la collettività nel tempo e nello spazio, impegna consapevolmente e con malizia, determina una sequenza di fatti, azioni e leggende che hanno solo lo scopo di cancellare il “genius loci” originario per sostituirlo con un surrogato artificioso.
Come un paesaggio avvolto nella nebbia, si intravede la forma ma non si comprendono i contorni. La ricerca storica ha il compito-dovere di svelare, di dipanare, di illuminare. Ha il compito di restituire, alla future generazioni, le ragioni identitarie di una comunità, le sue risorse culturali, non tanto per vezzo romantico e compiacimento localistico, ma per capire come rimodellare e rioccupare le pieghe dello spazio fisico e metafisico. La storia della città ci restituisce non solo il passato ma la traccia per il futuro.
«La ricerca di identità, e di ruolo territoriale non è oggi questione (va ricordato) che riguarda gli storici: è piuttosto una domanda diffusa tra gli stessi politici locali incerti in ordine a scelte urbanistiche che devastano il territorio e prosciugano le potenziali sorgenti di turismo culturale in cui han deciso – anche per impulso dei programmi europei di riqualificazione territoriale – di investire» (Giuseppe Giarrizzo, 2005)
La storia della città è la storia della sua armatura infrastrutturale; delle sue risorse naturali; dei suoi simboli arcaici; dell’acqua e del fuoco; della politica e del commercio; dei fatti tragici e delle sue vittorie; la storia della città è la storia degli uomini che l’hanno abitata, attraversata, combattuta, difesa, amata, accettata per quella che è, senza praticare il nascondimento.
In questi giorni, di studio e di ricerche, condivise e sostenute – sulla storia della forma della città di Paternò – appare più evidente questo paradigma. La consapevolezza che il nascondimento è la paura di essere; la paura di scoprire la verità, l’esigenza di coprire ogni piega, che sapientemente è stata occultata. Ma la città di pietra conserva ogni traccia, ogni documento, ogni segreto e lo scopo dello storico e del ricercatore è cercare, svelare, educare. Per valorizzare, salvaguardare e tutelare. Appare chiaro che se priviamo una città della sua storia più antica, possiamo usare i luoghi a nostro piacimento, privarli di quella politica di valorizzazione delle risorse e – come un tiranno – soggiogarla al nostro volere, persino divorarla. Le città nascono e le città muoiono, questione di tempo.
In questi giorni, di studio e di ricerche, condivise e sostenute, appare più evidente come, dalla fine dell’ ‘800, una città come Paternò, (e non è l’unica) ha vissuto nel nascondimento, isolando, coprendo, con ogni possibile stratagemma, le antiche pietre. E allora quale sarà la nuova sfida dei prossimi anni nel campo della ricerca storica? In quante e quali altre città si pratica il nascondimento? Siamo capaci di cogliere la sfida e coordinare gli studi interdisciplinari: archeologia, letteratura, geologia, vulcanologia, storia della chiesa e idrologia? Bisogna avere il coraggio di svincolarci dai legacci maleodoranti, che ci privano della libertà di studiare e ricercare; dalla banalità dell’ovvio, coltivando la curiosità. Questioni di metodo.