La nuova sentenza conferma: fu depistaggio; e il falso pentito Vincenzo Scarantino, per il quale è stata ribadita la prescrizione, fu costretto a mentire. I giudici di Caltanissetta, nel processo d’appello del Borsellino quater, hanno condannato i boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino all’ergastolo; 10 anni ciascuno ai falsi collaboratori di giustizia Calogero Pulci e Francesco Andriotta, reato prescritto per Vincenzo Scarantino.
Il verdetto è arrivato dopo circa sette ore di camera di consiglio. Confermata, dunque, la sentenza di primo grado dell’aprile 2017, come chiesto dalla procura generale.
Per la famiglia Borsellino “la conferma integrale della sentenza di primo grado certifica, in maniera inconfutabile, che nell’ambito del processo Borsellino uno e bis si è realizzato uno, se non il, piu’ grande errore giudiziario della storia italiana”, afferma l’avvocato Fabio Trizzino che con il collega Vincenzo Greco rappresenta i figli del magistrato Paolo Borsellino, Lucia, Fiammetta e Manfredi. “Chiaramente ora attendiamo sviluppi. Questa è una pietra miliare – prosegue il legale, marito di Lucia Borsellino – perchè si afferma che Scarantino e’ stato indotto a depistare le indagini”. Abbiamo il processo Bo e altri, la conferma totale della sentenza di primo grado costituisce i presupposti fondamentali per l’altro processo e per le ulteriori indagini che ci saranno e che magari sfoceranno in un altro processo”. “La nostra famiglia e’ in attesa – ha poi detto Trizzino – ha fiducia totale in questo distretto giudiziario”.
Il Pg Lia Sava pensa già a un nuovo processo, di “ulteriori sviluppi delle indagini” e della “possibilita’ di arrivare a un Borsellino quinquies”.
Del resto era stata la stessa Pg nella sua requisitoria a spiegare che a parere della procura generale “e in attesa dell’esito definitivo del processo Trattativa, se sara’ provato in maniera inconfutabile, che l’accelerazione dell’uccisione del giudice Paolo Borsellino e’ stata determinata anche dalla sua opposizione ad accordi fra elementi deviati dello Stato e Cosa nostra, avremo, quale conseguenza immediata e diretta, altri elementi utili e importanti al fine di comporre lo scenario di quella tragica stagione stragista”. Il Pg aveva poi ammonito: “Tocca ai magistrati l’arduo compito di acquisire, a distanza di numerosi anni, ulteriori elementi per la ricostruzione completa della dinamica della strage di via d’Amelio, che presenta ancora oggi, diversi punti drammaticamente irrisolti”.
Una sentenza, dunque, che fa ben sperare sulla possibilita’ di fare chiarezza sulle stragi di via D’Amelio e Capaci? “Credo – risponde all’AGI Maria Falcone – che i magistrati si possono muovere solo alla luce di determinati prove che si vengono a creare negli anni. Mi auguro di potere scoprire quali sono stati i veri contatti con la politica”.
Del resto non si attende solo la sentenza d’appello del processo Stato-mafia. Ci sono altri due procedimenti su cui sono accesi i riflettori. Nelle stesse ore in cui, oltre un anno fa, venivano depositate le motivazioni del Borsellino quater, uno snodo importante lo faceva segnare l’avvio dell’udienza preliminare a Caltanissetta a carico di tre poliziotti. Per la prima volta la procura nissena aveva chiamato a rispondere uomini dello Stato del depistaggio per l’eccidio del 19 luglio 1992. Attualmente sotto processo il funzionario Mario Bo e i poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei accusati di calunnia in concorso. Ai tre i pm contestano l’aggravante secondo la quale con la loro condotta avrebbero favorito Cosa nostra. I tre avrebbero confezionato una verita’ di comodo sulla fase preparatoria dell’attentato e costretto il falso pentito Vincenzo Scarantino a fare nomi e cognomi di persone innocenti. Un piano il cui presunto regista era Arnaldo La Barbera che avrebbe avuto comprimari come Bo ed “esecutori” come Ribaudo e Mattei.
E un’altra procura, quella di Messina, diretta dal procuratore Maurizio de Lucia, coordina l’inchiesta aperta nei confronti di due magistrati che in quegli anni si occuparono dell’attentato, Carmelo Petralia e Annamaria Palma, rispettivamente procuratore aggiunto a Catania e avvocato generale a Palermo. I due magistrati sono indagati per calunnia aggravata. La macchina della giustizia e della verita’ non si ferma.