Il Convento dei morti‭ tra macerie e crolli: paradossi sull’acropoli di Paternò

In uno dei luoghi più belli della città di Paternò, sulla sua acropoli, c’è il convento di Santa Maria delle Grazie, posto a sud dell’antico abitato e inghiottito in mezzo a loculi cimiteriali che lo hanno invaso in ogni sua parte. Una scena surreale, raccapricciante, irrazionale. Dentro un monumento storico, carico di testimonianze, c’è un cimitero: le stanze dei monaci, il refettorio, il chiostro, i porticati e ogni spazio disponibile è occupato da tombe familiari, da salme sparse qua e là che in queste condizioni non hanno pace. Tra macerie, crolli, infestazioni e piante che invadono ogni angolo, si percepisce tutta la drammaticità di una situazione che si è ormai stratificata, consolidata e che ha (forse) irrimediabilmente compromesso la bellezza e la fruibilità di un bene prezioso per la comunità.

Le pitture, le modanature, i fregi, le cornici e le epigrafi stanno perdendo consistenza, valore, matericità e persino le lapidi sembrano esplodere dai muri, offrendo uno spettacolo orrendo.
Una situazione conosciuta da tutti, denunciata più volte e ogni volta definita come una vergogna, a cui dover porre  soluzione. Il silenzio rumoroso nasconde l’ignavia di molti, di tanti che – nel tempo, da molto tempo – fanno finta di non sapere. Questa anomalia nasce, forse, subito dopo i bombardamenti del ’43 e, come si evince dalle scritture  d’archivio, aveva il carattere provvisorio dell’emergenza dovuta alla guerra. Poi, a dispetto di ogni regola igienica e cimiteriale, – deturpando il monumento e compromettendo la sua staticità – si sono realizzate altre sepolture, sempre di più, senza offrire ai nostri caduti, ai nostri morti una più degna sepoltura. Un luogo – per essi – più monumentale e celebrativo che potesse esaltare la loro storia.

Da questo momento in poi altre salme, altri morti altre storie e il risultato è una contraddizione senza paragoni.
Il silenzio di tutti non tutela la pace di questi uomini e di queste donne che non possono più recriminare una più adeguata sepoltura; al contrario, è la prova dell’indifferenza e della mancanza di rispetto di chi – vivo – dovrebbe trovare una soluzione. Comodo far finta di nulla, invocando il rispetto della pace dei morti. Comodo nascondere sempre la polvere sotto il tappeto. Anche per i cari che portano ancora un fiore deve essere un supplizio, attraversando gli angusti corridoi, evitare lapidi crollate, calcinacci e muri pericolanti.

Tra poco arriverà la ricorrenza dei morti, qualcuno abbasserà lo sguardo, qualcuno immaginerà una possibile soluzione, qualcuno accuserà questo o quell’altro sindaco, ma la verità è che dal dopo guerra ad oggi, nulla è stato fatto. Da nessuno. Qualche anno fa, il Genio Civile di Catania ha provveduto a consolidare una parte del manufatto per scongiurare un imminente crollo, una pezza in emergenza, poi il silenzio. Quello che potrebbe essere un giacimento di preziose testimonianze storiche, artistiche e culturali, fruito da tutti, rimane una delle pagine più drammatiche della nostra storia. E certamente, anche nelle adiacenze del monastero, la situazione non è diversa. Crolli, degrado, abbandono.
Il cimitero di Paternò, quello monumentale è un ricco palinsesto di cultura e arte. Contiene anche opere di Michele Cannavò; tombe in stile neoclassico e romantico; un tracciato viario che ricalca l’antica città greco-romana; un paesaggio unico della valle del Simeto, una storia millenaria che testimonia la presenza di due antichi cimiteri: quello del convento delle Grazie e quello di Santa Maria dell’Alto. Un luogo ancora da studiare, da indagare e da valorizzare.
Un luogo che racconta mille storie, antiche e moderne. Un libro di pietra, la città dei morti che sovrasta la città dei vivi (quella antica).
Sempre più evidente è il tentativo di sopprimere la storia, di nasconderla come una “‭damnatio memoriae‬” dalle  antiche origini – forse dal quel maledetto 13 ottobre 1307 o forse ancora più indietro nel tempo, perché quello che colpisce in questa città, in questa acropoli, è l’esercizio del “nascondimento”, del depistaggio storico, del cannibalismo culturale. Nulla deve emergere dalle antiche storie, e colpisce il quadro – chiaro e preciso – che propone Salvina Bosco nel suo “‭Archivio storico del comune di Paternò‬” pubblicato nel 2005 e mai reso disponibile agli studiosi e ai ricercatori, per le imbarazzanti affermazioni dell’autrice: sul vizio di “perdere” spesso le testimonianze archivistiche di questa città e sugli studi storici, “‭frammentari e lacunosi‬”.
Invadere un monumento con un cimitero “aumentato”, come il convento delle Grazie, è come voler perdere un documento d’archivio. E’ la volontà di cancellare la storia, privando tutti noi di un’opportunità culturale, economica e sociale. Per amare questa città non serve dichiararlo, ma esercitare azioni di valorizzazione e tutela della nostra identità e fin quando esisteranno anomalie e aberrazioni come queste del convento dei morti, nessuno può dirsi di amare veramente questa città.
Così scriveva nel 1835, il decurione Calcedonio Quartararo, parlando di Paternò: «‭Noi parlando della nostra Comune, ‬non siam più tra quei barbari tempi, né quali l’avido borgese profittando della sennata tolleranza degli abitanti macerava i lini ed i canapi entro l’ambito del Paese; il ricco, ed il prepotente estero seminava le risiere a man franca, e lo sciocco campagnolo non sapeva far l’uso del prezioso dono della natura (e della storia, dico io), che arricchì questo nostro ameno, e vasto territorio di acque dolci in parte, e nella maggior parte minerali‭».‬
Forse a pensare bene, siamo tornati tutti sciocchi e a quei tempi barbari che per Calcedonio sembrava un lontano ricordo nel 1835 e invece sembrano maledettamente attuali.

 

 

 

 

 

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

1 Comments

  1. Ho la bellezza di 43 è mi ricordo che da bambino era come ora non è cambiato nulla anzi la mia bella città e sprofondata è abbandonata a se stessa

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