La Procura di Catania ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo sul bimbo di due anni morto in auto dopo essere stato dimenticato dal padre andato a lavorare. Il pm titolare dell’inchiesta è Andrea Norzi. Secondo una prima ricostruzione il padre del piccolo, un ingegnere quarantenne e impiegato amministrativo all’università catanese, ieri mattina invece di lasciare il piccolo all’asilo lo ha dimenticato in auto. La scoperta, terribile, solo alle 13 quando la moglie lo ha chiamato per sapere se fosse andato a prendere il piccolo perché non era al nido. L’uomo ha raggiunto di corsa l’auto ma per il piccolo non c’è stato niente da fare.
Il Parlamento ha votato un anno fa l’obbligo di usare un sistema di allarme per i piccoli che rischiano di essere dimenticati in auto al caldo. Ma l’iter della legge, che prevede anche il parere del Consiglio di Stato, non è stata completato.
La tragedia di Catania riporta alla memoria quella del piccolo Andrea Deodato, uno dei primissimi casi, registrati in Italia, frutto di quella che la scienza medica ha definito “amnesia dissociativa”, ovvero la perdita di memoria causata da traumi o stress e che determina l’incapacità di ricordare informazioni personali importanti.
Accadde proprio nella città etnea, 21 anni fa, il 3 luglio 1998. Provato dal caldo e stanco per una notte insonne, Salvatore Deodato la mattina della tragedia agì come un robot.
Uscito di casa, si fermò come ogni mattina all’edicola di piazza Michelangelo per poi imboccare, automaticamente, la strada verso la Sgs Thompson, l’azienda di componenti di microelettronica che allora era un punto di riferimento occupazionale cruciale per Catania. Andrea, quassi due anni di età, era sul seggiolino, la cintura di sicurezza allacciata.
Il padre, che avrebbe dovuto portarlo all’asilo, era convinto di averlo fatto. “E’ all’asilo”, rispose alla moglie, quando lei gli chiese del figlio. L’insistenza di quest’ultima insinuò dei dubbi in lui, che poi sfociarono in una certezza lancinante ma troppo tardi: Andrea era rimasto in auto, sei ore sotto il sole, in un parcheggio, in una giornata tra le piu’ calde dell’anno: il termometro segnava 45 gradi all’ombra, che nell’abitacolo erano diventati 50. Il caldo lo aveva ucciso, come aveva fatto qualche giorno prima con un bambino nomade in una roulotte alla periferia di Roma.