Mostre, lo sguardo è protagonista: al GAM le cartografie visive di giovani artisti

Un viaggio dentro le cose, quasi uno scavo archeologico, che indaga nello spessore della città. Frammenti di materia, di ricordi, di sguardi. Una mappa immaginifica che racconta la storia, attraverso una collezione fotografica. E’ il lavoro promosso dal Dipartimento di Progettazione e Arti Applicate – Scuola di Fotografia con il patrocinio della Città di Catania e della Fondazione OELLE, visitabile al GAM di Catania, nell’ex convento di Santa Chiara fino al 30 settembre. Un’occasione da non perdere, per poter guardare dentro l’anima, per scoprire quella “cartografia visiva” che poi è il titolo della mostra. Ancora una volta, l’Accademia di Belle Arti di Catania, propone alla comunità metropolitana, un lavoro di ricerca sperimentale – curato da Rosario Antoci – che raccoglie la produzione di giovani artisti della Scuola di Fotografia di secondo livello. E’ anche l’occasione – per il sindaco Salvo Pogliese e l’assessore Barbara Mirabella – di restituire alla città uno spazio culturale straordinario, che può e deve essere sempre di più, un incubatore di bellezza.

Lo sguardo è il protagonista di questa mostra. Un atlante di colori, di frammenti, di vedute, qualche volta inattese. Una cartografia visiva che diventa mappa, tracciato, sentiero; un filo di Arianna che ci accompagna fin dentro un labirinto urbano. Una collezione di sentimenti – spesso sottaciuti – nascosti, divorati dall’ipervelocità con cui attraversiamo i luoghi, privandoli persino della nostra presenza. Un paesaggio che svela paesaggi. Una raccolta di luoghi, di storie, di confessioni, che restituisce la profondità stratigrafica dello spazio urbano, inteso, appunto, come paesaggio culturale.

La fotografia diventa lo strumento per narrare più che per documentare. Evocativa, teatrale, pittorica, persino plasticamente tattile. Lo sguardo viene catturato, lungo il percorso espositivo, dalla prima a l’ultima opera: Fusioni, Niente di nuovo, La materia e l’acqua, Pelle, Presenze assenze, Malinconia, Cityscape in the night lights, Cera una volta, Segni urbani di devozioni, Le terme della rotonda, Blurred vision, Cimiteri di guerra, Le trecce dell’uomo, AAKLO cinesequenza, Il cielo barocco di Catania, Nature sterili; sono i titoli delle opere che accompagnano i nostri passi.

E’ un viaggio orizzontale e nello stesso tempo verticale. E’ uno scavo sotto la terra e un volo verso il trascendente. Un tuffo nell’acqua e la scalata di un monte. Non è solo un viaggio personale, è un’esperienza che andrebbe vissuta insieme, in compagnia, come Dante fa con Virgilio; una passeggiata che ha bisogno di essere metabolizzata, vissuta prima con sguardi leggeri e fugaci e successivamente soffermandosi sui dettagli, sulle sfumature, sui tecnicismi.

Ed è proprio nell’approfondimento che appare evidente lo strato, lo spessore, la profondità. Il desiderio di scomporre le parti, destrutturare la forma, persino la memoria. Scomporre e ricomporre, compito delegato allo spettatore. Alcune opere sono impressioniste, surrealiste, cubiste, forse dadaiste. Prendono a prestito, dalla storia dell’arte ogni più intimo riferimento. Ci sono innesti, superfetazioni, persino immagini parassite che sovrappongono parti, sezioni e bordi.
Un palinsesto che contiene tracce di un rinascimento che, in alcune opere, sembra ricordare Antonello da Messina. Sarà il colore, l’intimità, il dettaglio. In alcune opere emerge il profumo dei libri, del legno; la forma dell’acqua, la sottigliezza delle armature portanti. Una città che ci ricorda Italo Calvino o Aldo Rossi. A confronto un repertorio con molti tempi narrativi: veloce, lento, plastico, psichedelico.
I luoghi narrati sono quelli dell’eterotopia, sono luoghi iconici, simbolici, monumentali, come un’edicola, che sembra rubata ad un quadro di Jack Veittriano, Porzioni di corpi che afferiscono a Canova, di città, che afferiscono alla cultura delle periferie americane degli anni ’70. Colpiscono le sfocature, i disallineamenti, le sovrapposizioni, le scomposizioni. Colpiscono i colori, la ridondanza, la serialità, l’ossessione, la leggerezza, la precisione, l’esattezza. La collezione raccoglie parti autonome di un romanzo emozionante.

La costruzione di questa cartografia visiva, propone una modalità di ricerca. Premia un atteggiamento culturale. Un sentiero da ripercorrere, in altri luoghi, con altre prospettive. E’ necessario esplorare, incoraggiare l’azione. Proporre un diverso modo di analizzare lo spazio. Oltre la dimensione euclidea fino a sfiorare la pelle dell’anima. La mostra è emozionante, intrigante, misteriosa. Ci lascia il desiderio di proseguire oltre, ci lascia un nuovo codice interpretativo – non solo per i beni culturali, forse punti di partenza della ricerca – per ciò che noi chiamiamo umanità. Ci lascia il desiderio, la voglia di cercare, di scavare. Un romanzo visivo che – conclusa la lettura – ci sommerge di malinconia perché siamo diventati noi stessi la storia, i personaggi, le vicende e vorremmo vedere ancora. Riconoscere e svelare è compito dell’arte, non si tratta di copiare la natura ma di capirne le ragioni più profonde.

Ma la ricchezza più grande sono gli sguardi degli artisti, la consapevolezza dei loro mentori, la gioia dei visitatori, la transumanza delle idee, l’utilità dell’evento, la bellezza di una sera di fine estate passata dentro la città, dentro una corte di pietra, coperta da un cielo terso, cornice di tanti incontri sensuali.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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