Narrare il paesaggio, lo spazio teatrale dove si recita l’opera della nostra esistenza

Raccontare i luoghi, descrivere un territorio, elencare le sue parti; significa comprenderne la sua natura più intima. La narrazione di un paesaggio non può prescindere dalla profonda conoscenza dello stesso. Non si tratta solo di elencarne le parti, le porzioni, i segmenti, e nemmeno di rappresentarne le forme. Narrare significa costruire la storia delle relazioni, la stratificazione delle trasformazioni e le implicazioni sul piano psicologico e teologico di quella porzione di spazio fisico che chiamiamo paesaggio culturale.

L’arte, da sempre, ha narrato il paesaggio. L’esigenza di descrizione è presente in ogni atto dell’uomo. La storia e la mitologia sono sempre collocate dentro un paesaggio: immaginifico o reale; esterno o interno, superiore o inferiore. Lungo una direttrice o su un’ampia superficie. Queste parti e questi luoghi diventano il teatro della storia dell’uomo.

Ogni parte del creato – persino quello che non conosciamo – diventa la scenografia di una storia. Quasi tutte le religioni – di ogni tempo – descrivono luoghi elevandoli a simboli di sacralità. Il paradiso terrestre in Mesopotamia, il Nilo in Egitto, la città di Babilonia, la Camelot di Re Artù, il Monte Olimpo di Zeus, e potremmo continuare per ore. Monti, fiumi, città, pianeti, giardini, labirinti, palazzi, boschi. Un palinsesto di storie e luoghi raccontati dagli artisti che hanno costruito la nostra immagine del mondo fisico e trascendente. Per un attimo pensiamo alla descrizione di Dante sull’Inferno, sul Purgatorio e il Paradiso; oppure quella di Omero sui luoghi del viaggio di Ulisse; e quelle di Leonardo da Vinci, Giovanni Bellini, Italo Calvino e William Turner, Vasilij Kandinskij.

Un patrimonio immenso di racconti che ci lascerebbe senza fiato solo a vederlo per un attimo.

Perché abbiamo bisogno di narrare il paesaggio? Per quale motivo ci ostiniamo a descrivere i luoghi come se fossero la scenografia di un’opera teatrale? E’ l’esigenza di collocare, orientare, e contestualizzare le nostre umane storie? O forse è un processo di sacralizzazione dei luoghi fisici per “fissare” gli altari della nostra esistenza. Una specie di mappa che descrive una rete di simboli, che ci riportano pur sempre alla dimensione trascendente. L’uomo ha comunque l’esigenza di animare e umanizzare tutto ciò che lo circonda. Dio è a immagine e somiglianza dell’uomo e quindi l’uomo vede nel creato sé stesso. E se l’uomo vuole conoscere il creato (Dio) e sé stesso, sente l’esigenza di rappresentare, di raccontare, di descrivere; perché l’atto della narrazione è un atto di conoscenza, di riappropriazione intima e quindi non può prescindere da un approccio indagatore. Narrare significa indagare, ricercare per capire. Quindi rappresentare il paesaggio è un gesto vitale che ha lo scopo di comprendere le cose fisiche e metafisiche.

Ovviamente, in ogni tempo e in ogni luogo, gli artisti hanno scelto un preciso codice linguistico, funzionale alla rappresentazione. Un codice che spesso era figurale (Leonardo da Vinci) ma qualche volta poteva essere astratto (Kandinskij) o poetico (Federico Fellini), configurando infinite possibili declinazioni. Uno straordinario patrimonio di forme e significati. Il cui scopo era andare oltre il visibile, oltre la forma, per esplorare le profondità della percezione umana. Un esercizio meraviglioso che tende alla remota conoscenza del creato e forse dell’essenza del divino.

Ci siamo sempre chiesti cosa nascondono alcuni luoghi. Quali storie, leggende e intrighi. Ci siamo chiesti il perché di certe relazioni tra una piazza, un castello e un fiume. Il perché di una forma, di un segno. Continuiamo a essere affascinati dal mistero, da ciò che non riusciamo a capire, dall’enigma. Perché intravediamo la risposta a tante nostre domande. Restiamo incantati dalle liturgie, dai riti, dalle celebrazioni. E’ una vocazione umana, un’esigenza primordiale. Vogliamo capire e per questo narriamo i luoghi elevandoli a paesaggio e su di essi collochiamo le nostre storie: vere, inventate e immaginate. La narrazione poetica è quindi lo strumento più profondo per raccontare l’intimità dei luoghi e le loro relazioni con la nostra storia. Un vulcano, un’acropoli, una valle. Un’isola, un fiume, una nave. Un albero, un sentiero, una città. Un tempio, una grotta, un monastero. Una luce, un’ora, una direzione. Un suono, un canto, un profumo. Sono le parti che compongono un paesaggio culturale, sono lo spazio teatrale dove si recita l’opera della nostra esistenza. Sono le tracce di un rebus che l’uomo tenta di risolvere ormai da secoli. Dentro lo stesso luogo convivono innumerevoli paesaggi e infinite storie. Scoprirle è forse la nostra ragione di vita.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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