L’umanità sta cambiando pelle. L’intero equilibrio planetario si sta modificando. Il lavoro è al centro di una rivoluzione che non è solo di profitto ma cambierà il nostro modo di esistere e coesistere nel pianeta. Teologia e filosofia cercano di costruire un nuovo paradigma ma con grande difficoltà. La guerra economica tra Cina e USA, gli sbarchi in Europa; i conflitti in ogni parte del mondo, i flussi migratori e la corsa verso la produzione delle fonti rinnovabili, sono alcuni dei segnali di questo cambiamento.
Il punto di partenza è il lavoro o meglio la produzione. Forse, anche per questo motivo le ideologie politiche sono in crisi e devono attingere ai nazionalismi e ai populismi per sopravvivere alla tempesta.
Le macchine sostituiscono sempre più l’uomo nei processi produttivi e serve meno mano d’opera umana. Macchine, robot, androidi, sono sempre più presenti nel ciclo produttivo. Abbassano i costi, velocizzano i processi e “virtualmente” esigono nuovi mercati, nuovi consumatori.
L’età media dei paesi occidentali si alza vertiginosamente, tra poco saremo una popolazione prevalentemente anziana, non adatta alla produzione. Consumatori fin che è possibile. L’età media dei paesi in via di sviluppo (si fa per dire) si abbassa vertiginosamente, tra poco sarà l’unica forza motrice di questo pianeta. La popolazione mondiale cresce in maniera esponenziale e non per l’Europa o l’America (che rimangono due grandi mercati).
L’energia e l’informazione sono i due settori chiave per governare e stanno ridisegnando la geografia, i confini e le alleanze.
I modelli democratici sono in crisi. Da una parte l’illusione della partecipazione, come tensione verso una modalità più utile di governo e dall’altro la consapevolezza che i nuovi poteri sono concentrati nelle mani di chi gestisce le informazioni e l’energia. Una nuova élite che ha soppiantato quella teologica e quella politica, all’origine della nostra società e che condiziona ogni nostra attività. Serpeggiano, tra le pieghe di questo mondo, termini come: disobbedienza, decrescita, anarchia; è forse il segnale più evidente di questo malessere.
Alcune parti di popolazione, e persino alcuni popoli sono sempre più emarginati e sacrificati sull’altare di questo futuro. Le reazioni sono diverse: terrorismo, guerre, catastrofi, schiavitù, fame, traffici, emigrazioni di massa. Un futuro che non ha avuto il tempo di metabolizzare le trasformazioni, di raccordare le generazioni, di riequilibrare i pesi.
Alcune parti del mondo sono isole felici, luoghi di svago perpetuo, modelli di civiltà raffinata. Alcune parti del mondo sono invece l’inferno. Il retro dell’umanità, la parte più drammatica dell’uomo. Le isole felici, sono recinti, riserve, spazi protetti da muri, da eserciti, da deserti che non permettono di vedere altro. Gli uomini si dividono in chi abita questi paradisi e chi sopravvive fuori. Ma cosa succederà quando saranno in pochi a stare nei paradisi e in molti a starne fuori? Chi difenderà i confini? Forse macchine senza cuore? La macchina cinematografica ha già descritto questi scenari in film come Star Wars o The Time. Film in cui non esiste una vera e propria popolazione ma due parti distinte e riconoscibili: i ribelli e il governo, sempre in guerra. E’ forse questo il futuro?
La sensazione è che bisogna ripartire dalla teologia e dalla filosofia del lavoro. Dalla ricerca di una nuova ecologia di sistema: culturale, sociale ed economica. Dalla ridefinizione di modelli democratici di governo, ridisegnando persino l’armatura di governo: nazione, città, regione, comunità ecc. magari pensando ad una “nuova” struttura planetaria formata da realtà politiche come la Polis (la rete delle megalopoli. Insisto nel pensare alla Sicilia come una di queste realtà).
Ripartire da alcune domande. Cosa produrre, per chi? Ridefinire la figura del consumatore. O meglio del consumatore/produttore. Quale contributo può dare un anziano a questo sistema? Fino a che punto è utile la sua esistenza? La medicina troverà nuovi modi per prolungare la vita: a chi e perché? Le guerre sono forse un sistema di riequilibrio demografico? La stessa povertà, è usata per selezionare? Questo spiegherebbe il perché non la si combatta seriamente.
Alcune confessioni promettono un futuro altro. Una specie di assegno post datato. Qualche volta una motivazione effimera per compiere atti di bontà o di terrore (la promessa ai martiri religiosi). Forse è proprio nella definizione di oltre, di aldilà, di futuro che si gioca questa partita. Perché l’umanità è equilibrio, è bilanciamento, è ecologia. L’uomo può trovare proprio nella natura la chiave per comprendere queste nuove sfide e rimettere al centro il “lavoro”.
Vivere l’oggi, intensamente, significa dare un significato all’esistenza dell’uomo. Riconsiderare appunto, il tema del lavoro nella sua dimensione teologica e filosofica – definendo un nuovo paradigma – significa cercare un nuovo equilibrio. Per combattere quelle discrepanze tra i recinti felici e gli inferni, che primo o poi travalicheranno i confini, travolgendo tutto e tutti.