Università bandita, lettera al ministro: “Preveda 416 bis per baronaggio”. L’ha scritta il padre di Norman Zarcone

“Fin quando agirò entro i confini del lecito non smetterò mai di ‘infastidirla’ con le mie domande, con la mia richiesta di confronto. Ha riflettuto su una riforma dell’università che contempli i dettati dell’articolo 416 bis del codice penale per i casi conclamati di baronaggio (magari d’intesa col dicastero della Giustizia)?
Un vincolo associativo che punta molto sull’intimidazione, la familiarità, la coesione territoriale, l’obbedienza e il silenzio omertoso su quanto avviene all’interno di quella inaffondabile struttura di potere che ‘mira ad inserirsi con metodi illeciti in attività di per se’ lecite, per ottenere un vero e proprio controllo sul territorio'”. Lo scrive, in una lettera aperta al ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, il giornalista Claudio Zarcone, padre di Norman, il dottorando suicida a 27 anni, nella facoltà di Lettere di Palermo.
Un gesto disperato quello del 13 settembre 2010, per denunciare “l’assenza di futuro causato dai baroni delle università”. “Gli ingressi e le progressioni di carriera, ad esempio – aggiunge – a partire da un semplice dottorato (in special modo con borsa), sono gestiti dai baroni i quali sono espressione di dipartimenti (la famiglia) e quantunque l’attivita’ sia di per se’ lecita, con tanto di concorso pubblico bandito e pubblicato, vi e’ un metodo illecito che determina e guida le carriere, gli ingressi, le nomine, le graduatorie. Il territorio e’ controllato in piena regola”.
Numerose le inchieste sul fenomeno, ricorda. L’ultima, partita da Catania, ha coinvolto 14 atenei italiani, con 66 indagati, e determinato le dimissioni del rettore etneo, facendo luce su un sistema di concorsi truccati.
A poche ore dalla morte di Norman, Claudio Zarcone aveva parlato di “omicidio di Stato”: “Si e’ nei fatti assassinato un ragazzo brillante: giornalista, musicista, filosofo, che d’estate faceva il bagnino in un circolo nautico per apprendere l’etica del lavoro e della fatica fisica”. Norman “non era un depresso, tutt’altro. Il suo cervello al fulmicotone era sempre in ebollizione e la depressione non sapeva proprio cosa fosse: la sua era una concezione allegra e briosa della vita. Gli amici lo chiamavano ‘Zuzzurellone’ e cosi’ si e’ firmato nella lettera indirizzata ai suoi amici, scritta poche ore prima che mettesse in atto la sua drammatica decisione. Una decisione, comunque, maturata e metabolizzata nel tempo. Una dolorosa scelta filosofica oserei dire (purtroppo). Mio figlio nell’ultimo periodo era incazzato, questo e’ l’aggettivo giusto”.
Il suicidio di Norman, per il padre, “scaturisce dalla rabbia, dall’impossibilità di poter cambiare le cose e il suo gesto va catalogato come altruistico, perché parrebbe che i morti non godano di benefici terreni. Mio figlio con le sue due lauree con lode, il dottorato senza borsa pressoché concluso (terzo e ultimo anno) e il tesserino di giornalista pubblicista in tasca, non si sentiva un laureato di serie B, è semmai dentro quel dottorato che si sentiva di serie B: emarginato, non considerato, isolato come una metastasi da estirpare. Quel senso di isolamento lo fece sentire di serie B a soli ventisette anni. E’ dentro quel dottorato che monta a dismisura la sua rabbia. Norman non chiedeva niente di speciale, soltanto una possibilità alla pari degli altri. Ora mi dica, ministro Bussetti: cosa intende fare?”.

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