La città è una natura che contiene la vita e la morte: chi la devasta perisce egli stesso

morte

«Pazzo è chi, tra i mortali, devasta le città e i templi, e le tombe sacre dimore dei defunti: consegnando tutto questo all’oblio, perisce egli stesso», (Troiane, vv.95-97, Euripide)

Dentro questo racconto di allegorie e metafore che svela il futuro, si nasconde il presente. Un rompicapo che vuole sollecitare le vostre fantasie. Selezionare la vostra attenzione. Una modalità capricciosa per narrare questa città. La vostra città, quella in cui vivete adesso. C’era una volta… l’uomo le costruisce e l’uomo le distrugge: le città. Dipende da noi e la natura è madre che protegge.

Dentro una città ci sono mille altre città.

Cambiano le forme, i linguaggi, le gerarchie. Si fanno più alte, svettanti, compatte. Diventano porose, fluide, resistenti oppure morbide. Dentro di esse, si scorre velocemente. Si consumano fino a morire. Le città si ammalano, invecchiano, si trasformano. Si svuotano, oppure ritrovano la vita.
Come un corpo, che naturalmente trova il suo equilibrio – adattandosi ogni giorno a tutto – conservano metastasi, cicatrici, increspature oppure tesori, giardini e fontane. Accolgono Tiranni, Pizie, Arpie e rivoluzioni.
Scivolano e producono infinite incompiute. Parti di esse non saranno mai città, ma cimiteri di ogni cosa.
Un fiume sotterraneo scorre sotto di esse e le divora piano piano. Dentro un recinto di pietra, qualche volta, cresce un albero. Una natura materna, un sogno. E questo recinto è la loro parte più nobile. E’ il Tempio, è il Temenos, è quel lievito madre che può diventare pane. Non serve a nulla farsi illusioni, la città è spietata. La città è una natura che contiene la vita e la morte, che si trasforma velocemente.

Gli uomini hanno costruito le città. Le abitano e le consumano; le rendono uniche o le coprono fino a renderle invisibili. In queste città, si ascoltano strane storie. Certe volte sono favole, altre volte fiabe, commedie e tragedie che narrano di Miti, di uomini e di Dei. Tra storia e leggenda, tra cronaca e misticismo, tutto si amalgama e diventa realtà quotidiana. Realtà mutevole ed effimera. Santi, esseri fantastichi e sacerdoti. Oggi questa città è prigioniera di un Minotauro, rinchiusa in un labirinto senza uscite dove Arianna si è persa, ma non il suo filo. Ma nel suo porto è issata la vela di Teseo, tra le sue mura, Dedalo costruisce ponti e giardini. Le navi sono cariche di un nuovo rinascimento, devono attraccare e rendere l’isola una nave, rendere il labirinto un viaggio, rendere il filo una traccia, rendere la sua acropoli un tesoro. Per diventare città aumentate, digitali, smart, pur conservando i profumi di gelsomino e le pietre ruvide di un tempo, la “putìa” sotto casa e la musica per strada, vicino alle rovine del castello.

Queste parole, che nascondono altri significati, sono un manifesto. Sono un programma, una speranza, un urlo disperato. Queste parole che come i templari sono a difesa dei pellegrini in terra santa; sono lo stendardo di pochi guerrieri a difesa delle mura. Sono un vezzo letterario per parlare – poeticamente – di una città. Una sollecitazione nei confronti dei principi, della borghesia, degli artisti, dei poeti e dei filosofi. Sono lo sguardo prima della battaglia. Sono l’invito a scendere in campo contro le orde degli “estranei” che divorano la memoria, che assottigliano la distanza tra l’uomo e la natura. Gli agricoltori di Uruk hanno bisogno dei sacerdoti e dell’élite politica. Hanno bisogno degli scribi, dei muratori e dei ceramisti. Hanno bisogno del logos e non del caos. Degli Dei e non dei Titani.

Cosa resterà delle nostre città? Come cambieranno? Tra cinquant’anni, domani, adesso. Rigenerare significa rifondare; tracciare a terra una nuova forma di città, una nuova forma, attraversata da nuove strade che ci portano verso la montagna, verso il fiume e verso il mare. Chi governerà questo processo? Forse dobbiamo riscoprire il femminino che costituisce il Genius Loci di questo paesaggio culturale. Forse è necessario ripartire dalla Fenice e volare alto.
La città è diventata invisibile, i suoi metabolismi urbani alterati e le tracce di civiltà perdute. Ma c’è una speranza: Teseo e Arianna.
E se fosse la vostra città? Quella che abbiamo narrato. E se ci fossimo persi, nei labirinti del racconto? Allora significa che dobbiamo ancora cercare dentro di noi, nelle profondità della nostra anima di cittadini. Cercare in quella mappa immaginifica che è la nostra memoria per trovare la chiave per uscire da questo post Medioevo.

« Le città stanno acquisendo un ruolo sempre più importante a livello mondiale, sia per gli enormi flussi demografici che si riversano sui centri urbani sia in quanto centro propulsore di nuove filiere produttive. Ma, per coltivare appieno il potenziale creativo e innovativo delle città, abbiamo bisogno di un cambio di paradigma che poggi sui pilastri dello sviluppo sostenibile – ambientale, culturale, sociale, territoriale ed economico »- Maurizio Carta “The Augmented City”

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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