Etna, la Grande Madre che protegge e sostiene il suo popolo: Natura, Mito e altre follie

Etna - Corriere Etneo

Tutte le volte che lo sguardo si perde verso l’orizzonte, gli occhi cercano Lei. La Montagna, l’Etna che raccoglie dentro il suo ventre il fuoco e l’acqua.

Tutte le volte che la guardo, il pensiero mi riporta alla “Madonna della Misericordia” di Piero della Francesca e alla Madre Terra. L’Etna è femmina, è madre, è mantello, è utero: “a Muntagna” è il termine con cui è percepita da tutti.
Nella chiesa di Santa Maria dell’Alto a Paternò, c’è un’opera pittorica di autore ignoto (forse vicino alla scuola di Sofonisba Anguissola) che ritrae la Madonna, similmente all’opera di Piero della Francesca; una Maria, che copre con il suo mantello il popolo dei fedeli. Esiste un nesso simbolico e psicologico tra la montagna – anche quando questa è un colle – e Maria. La Madonna del Monte Carmelo, la Madonna di Santa Maria dell’Alto. L’Etna intesa come la grande montagna è la metafora della madre, che protegge e sostiene il suo popolo e, anche qui, la sua forma ci riporta al mantello salvifico della pittura rinascimentale.

Anche quando l’Etna è roboante e sputa fuoco, la gente di questa terra la sente come una madre. Il suo magma, copre, distrugge, invade: le terre coltivate e le case. Ma il sentimento prevalente – di tutti – è quello di sentirsi in colpa. La montagna si riprende quello che è suo. Avverte gli uomini, li mette in guardia, stabilisce come abitare quel paesaggio. Rimette ordine, definisce un nuovo equilibrio, senza mai rinunciare alla sua generosità. La gente di questa terra non ha paura di Lei: al contrario, dipende da Lei. E’ come una madre attenta e premurosa, pronta a sgridare i suoi figli nel momento che abusano della sua pazienza. Nasconde i nostri segreti, la nostra storia e costituisce il luogo per eccellenza dell’eterotopia.

Una delle più belle letture sull’Etna è “Catasto magico” di Maria Corti (edizione Einaudi). Un’opera poetica sulla montagna e sulle sue implicazioni culturali (peccato che non si sia provveduto ad una ristampa). Emerge da questa narrazione colta e profonda, tutta la sacralità dei luoghi, la consapevolezza che essa – la montagna – è un tempio, un romanzo, un rifugio, un’enciclopedia universale.

Scalare la montagna, raggiungerla, seguire un sentiero, viverla, è un percorso iniziatico. Lo fece anche l’imperatore Adriano, lo fece Empedocle e Re Artù, lo fece Ulisse. E Salvatore Caffo – geologo e raffinato narratore dell’Etna – ci ricorda che «nessuno si chiede come mai il Parco naturale dell’Etna è privo di Guardie Parco e ha così pochi uomini del Corpo Forestale. Cui prodest? Perché governi regionali di segno diverso non hanno mai sentito il bisogno e la necessità di preservare a dovere un luogo unico, patrimonio mondiale dell’umanità e ne hanno fatto preda quotidiana dell’inciviltà? E’ il grido di allarme di un uomo che ama questo vulcano che ha bisogno di cure e non di follie.

Recentemente la Soprintendenza di Catania – assieme a tanti altri partner – ha organizzato molti eventi per ricordare la sua più famosa eruzione e il terremoto che ha stravolto l’intero Val di Noto e parte di Val Demone. Una fotografia approfondita sulla montagna e sul territorio che ha evidenziato la sostanza antropologica di questo paesaggio culturale.

L’Etna è un’idea, una metafora, un luogo, un mito, una bussola. E’ patrimonio dell’Umanità e meriterebbe qualcosa di più da parte di tutti. Lo sapevano i contadini, lo sapevano gli uomini antichi. L’Etna è una montagna, è una Madonna, è simbolo femminino. E’ pietra, magma, fiume e sbuffi di fumo bianco. E’ cenere, è terra, è mistero, è casa.
L’Etna è il centro di quell’anello dell’acqua costituito dai fiumi Simeto e Alcantara, è la terra attraversata dalla via Francigena che da Agrigento (Empedocle) arriva sino a Messina (verso Roma e Gerusalemme). E’ la terra del nord, è la montagna che si copre di neve, vicino al mare. E’ un simbolo universale, forse persino il carattere di quest’Isola che deve essere un faro nel Mediterraneo.

… «Qualche volta penso che il magma urbano risale verso l’Etna e poi ridiscende informe. La sapienza dei contadini ha permesso di costruire una topologia, fatta di terrazze di pietra, mentre l’uomo “erectus” costruisce capanne esotiche. Lo spazio agricolo possiede una struttura urbana fatta di muri a secco, come archeologia di una città scomparsa. Muri nati dalla terra. Magma prezioso dell’Etna» … E’ questo uno dei tanti fotogrammi di questo paesaggio che merita più attenzione, più rispetto.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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