Oggi ad Adrano va in scena la storica Diavolata, eterna lotta tra il bene e il male rappresentata su un palco montato al centro della grande Piazza Umberto di Adrano. Fa parte di un corpo unico che prevede anche l’Angelicata. Per gentile concessione dell’autore, il Corriere Etneo pubblica un brano del libro “Ritorno all’Amarina” di Giuseppe Lazzaro Danzuso, giornalista e scrittore di origini adranite. Si narra dell’attesa per la Diavolata di Pasqua condita da ciciulìu, uova dure e pasta reale.
Se volete seguire la Diavolata e l’Angelicata in streaming, intorno a mezogiorno, potete farlo cliccando sul link: https://www.corrieretneo.it/streaming-pasqua-adrano-2019/
Tratto dal libro “Ritorno all’Amarina” di Giuseppe Lazzaro Danzuso (Fausto Lupetti Editore).
La Diavolata era una cosa spettacolosa. Per la Pasqua si faceva, alla domenica: alla mattina mia nonna e le ziane mi facevano trovare il cicilìu con le uova dure e i diavulicchi di zuccuru acculuratu sopra la pasta di pane e certe volte puru l’agnello di pasta reale. Io me lo aspettavo, il cicilìu, perché il giorno prima, per tutta la matinata, la nonna e le ziane si mettevano con le scope di saggina a darci corpa sutt’e letti e sutt’e mobili per fare scappare al dimoniu che si era ammucciato là sotto dopo che aveva saputo della Risuscita. E mentre chiantavunu corpa di scupa ripetevano a vuci di testa: «Nesci nesci diavulazzu ca lu sabbutu santu vinni».
A me il sabato di Pasqua mi piaceva, no il venerdì che c’era la processione del Cristu a la culonna sutta ’i finestri della casa della nonna, di notte, e a me mi faceva sca’ntari assai. Quel Cristo pena mi faceva, ché era tutto sminnittiatu (lazzariatu dicevano gli altri, ma nella famiglia mia no perché Lazzaro ci chiamiamo) con i capiddi pinnenti chini di sangu. Ma più assai mi piaceva la domenica, per il ciciliu e per la Diavolata.
Sopra il palco montato davanti al castello c’erano i diavuli e i virseri che diceva mia nonna Carlotta quando s’annerbuliava. Ma no diavuli per finta. Diavoli per davvero, vivi: due niuri niuri e con due corna e uno, chiù ’mpurtanti, con tre, che ci aveva puru l’ali
niuri di la taddarita. A me i diavoli mi facevano sca’ntu e tramutu, ma no quanto la
Morte. Era tutta giallinusa e tirava bistem’ii e schigghi perché si voleva portare all’Umanità che era un picciriddu comu a mia. E ’nveci l’Ancileddu, che era un altro picciriddu, lo fermava con la Spada di Dio. Allora la Morte che ci aveva l’arcu e la fleccia, faceva scumazza
sopra il palco. Poi li rumpeva, arcu e fleccia e c’i jittava a li genti, ca erunu a migghiara e migghiara in tutta la chiazza. E quando la morte buttava questi pezzi di legno i cristiani si sciarriavano per prenderseli che dice che portavano fortuna.
Carmelu me l’aveva cuntato che uno, una volta, si era afferrato uno di quei pezzi di legno, se ne era scappato subito a giocarsi i numeri del lotto e aveva vinto ’n saccu di palancheddi.