La chiesa di San Domenico, a Paternò, ospita una mostra di arte sacra: paramenti e suppellettili liturgici, oggetti devozionali, gli abiti tradizionali delle confraternite e le cappe magne dell’antica municipalità; opere di ceramica a tema sacro di Barbaro Messina e un ricco repertorio di foto sulla pasqua di Franco Uccellatore.
La Commissione Cultura ed Eventi della Parrocchia di Santa Maria dell’Alto ha presentato una collezione ricca e prestigiosa che ci riporta indietro nel tempo ed esalta – emozionandoci – lo spazio espositivo.
Tra le poche chiese a sala unica – presenti nella città bassa – questa di San Domenico gode di una posizione unica. Come una pietra angolare, segna l’inizio del corso principale – l’ex via Ferdinandea, oggi Vittorio Emanuele – a partire dal XIX secolo e fa parta di un antico convento domenicano, che affonda le sue radici nel 1512. Tante sono le opere – di scultura e pittura – che impreziosiscono l’aula principale e la cappella del Gesù bambino, e tra queste, una dedicata a San Vincenzo Ferreri del 1731 e una commuovente Vergine del Rosario del XVIII secolo. L’aula, che si apre all’antica piazza Canali (oggi Indipendenza) guarda verso la chiesa dell’ex Monastero delle Benedettine – inquadrando la cupola, che domina il sottostante impianto barocco – sullo sfondo un cielo terso che incornicia l’antica acropoli di Paternò.
La mostra ci offre un repertorio artistico di rara intensità – accompagnato – in sottofondo dal “La Messa da Requiem” in Re minore K 626 di Mozart e in particolare il Lacrimosa. Intensità, misticismo, atmosfere cariche di pathos. Un viaggio nel tempo, tra riti e tradizioni, credenze e liturgie. Una testimonianza di fede antica e la rappresentazione di una società – quella tra il XVI e il XIX secolo – che scandiva la vita di questa comunità contadina. La Chiesa Vescovile, gli ordini conventuali, la municipalità e sullo sfondo i Moncada. Potere religioso e potere temporale, in mezzo il feudalesimo di una famiglia nobile di Sicilia, croce e delizia di questa terra.
Emozionano le foto – pastose, cromatiche e a tratti metafisiche – di Franco Uccellatore (da poco scomparso), che raccontano una pasqua intima, intensa; narrata con apparente ingenuità. Ad inaugurare la mostra – la moglie e i figli. Non potevano mancare le opere – alcune – del Maestro Barbaro Messina, artigiano ceramista, come si definisce lui stesso. I suoi sono piani di lava pittata, espressione artistica pura e sincera. Fuoco e terra, colori e sguardi, lirica e poesia. Opere che raccolgono il patrimonio di esperienze figurativa e iconografica dei decoratori di carretti siciliani, dei pupi e dei cantastorie. Opere cariche di spiritualità, di colori ricchi e di quella matrice culturale che fu l’esperienza artistica bizantina, araba e normanna. Barbaro Messina è ancora una volta, artigiano, ceramista e artista intimista.
L’aula è dominata – verso l’area presbiteriale – da figure fuori scala, le cappe magne. Armature liturgiche, stoffe preziose, eredità familiare, solennità e potere. Il ricordo di un tempo, il ricordo di processioni pasquali che evocano la passione di Cristo in una cornice – tutta barocca – che invadeva la città, i suoi vicoli, le sue strade e le sue piazze. Scenografia di luce che illumina gli uomini e le donne. La mostra ne ripropone le tracce, i significati e le implicazioni spirituali, esponendo gli abiti liturgici – ricchi di ricami preziosi – gli oggetti che scandivano il tempo e il passo delle processioni con le “traccule” (raganelle); opere devozionali, sculture di cristi, madonne e santi. Fuori dal tempo e dallo spazio.
Accompagnati da Antonio Arena, Francesco Giordano e Antonio Caruso – componenti della commissione eventi – tra questi reperti di storia della chiesa, entriamo dentro la profondità delle cose. Assaporiamo le ragioni e i significati delle stoffe, delle pietre e dei legni, esposti mirabilmente. Ascoltiamo i racconti delle confraternite e le loro origini, le differenze e le modalità di fede.
Raccogliamo anche il grido di allarme di chi percepisce una certa apatia delle istituzioni. L’assenza di una volontà politica a mettere mano – una volta per sempre – all’istituzione del museo di arte sacra. Sbandierato, evocato, ma mai realizzato. La mostra ci fa intuire la ricchezza del patrimonio che potrebbe accogliere una tale istituzione pubblica. Non solo un tentativo di conservare la memoria o di svelare l’identità collettiva ma l’opportunità di trasformare tutto questo in un possibile bacino occupazionale. Senza un progetto di rete e di valorizzazione del patrimonio culturale – della chiesa e della città, e senza una politica di rigenerazione urbana (organica e integrata) che realizzi le pre-condizioni per avviare concretamente il settore turismo; siamo condannati a godere occasionalmente di questi eventi nel silenzio più totale, disperdendo lo sforzo degli organizzatori.
La parrocchia di Santa Maria dell’Alto – e con lei spesso altre parrocchie – danno un grosso contributo alla valorizzazione della storia della città e la sensibilità di Padre Salvatore Patanè (parroco della suddetta parrocchia) all’arte e alla cultura è encomiabile e come dice lui stesso: “Tutto questo patrimonio è vostro, della comunità, io ho il dovere di conservarlo e presentarlo a voi per tramandarlo alle future generazioni”. Abbiamo bisogno di Pèsach (il passaggio salvifico per liberare il popolo dall’ignoranza). Perché Pasqua è salvezza, è passaggio, è resurrezione. Abbiamo bisogno di una nuova pasqua.
Foto di Giuseppe Mirenda e Francesco Finocchiaro