E’ la sceneggiatura di un film: un uomo sequestra un autobus pieno di bambini nella periferia di una grande città.
E’ un vile attacco a quella comunità, una protesta contro altri crimini che diventa essa stessa un crimine. Un uomo di colore, originario del Senegal, quindi dell’Africa nera che tanto fa paura, vuole sfidare la tranquillità della nostra comunità. Brucerà l’autobus con tutti i suoi giovani occupanti, si schianterà contro un muro, precipiterà da un viadotto. Ma all’improvviso, gli eroi che occupano il bus, insieme con le forze speciali, riusciranno a salvare tutti e consegnare il vile terrorista alla giustizia. L’uomo nero era nato in Francia, nel cuore dell’Europa, lavorava in Italia. I nostri eroi, invece, sono due ragazzini che con la loro iniziativa hanno salvato tutti.
Non è la sceneggiatura di un film, è un fatto vero, accaduto nella periferia di Milano, in questi giorni. Non è finzione, non è cinema, è tutto vero, maledettamente vero. E qualcosa ci ha insegnato che forse dobbiamo riflettere su alcuni pregiudizi e luoghi comuni che contaminano il nostro modo di essere e percepire l’altro, il diverso.
Rami e Riccardo, sono i ragazzi che hanno permesso ai carabinieri di limitare i danni e ricondurre tutto ad una storia solo da raccontare. Sono due ragazzi come tanti, di quelli che ci sembrano sempre e solo concentrati sul nulla, a guardare i cellulari ridendo e scherzando. Invece sono stati piccoli eroi. Hanno affrontato con intelligenza tattica il problema, preso velocemente delle decisioni, definito una strategia, agito con determinazione, trovando una soluzione possibile per salvare tutti. E poi i carabinieri, coraggiosi, temerari, figure mitologiche di uomini semplici che con le mani hanno salvato un manipolo di ragazzi evitando la tragedia più grande. L’epilogo ci restituisce un dirottatore confuso, due ragazzi felici e un gruppo di uomini in divisa, che sanno di aver fatto solo il loro dovere. Come quei giocatori, che spesso stanno solo in panchina, che si fanno trovare dal ‘mister’ sempre pronti e in forma per scendere in campo e fare la partita della vita.
Ma ogni storia ha il suo colpo di scena.
Quella cosa che la rende particolare. Sì, perché sarebbe stato facile se da una parte ci fosse stato il nero, cattivo, venuto dall’Africa e dall’altra due ragazzi della Milano bene, magari di quella Milano che frequenta i salotti che contano o i raduni in riva al fiume Po. Insomma due ragazzi figli della nostra terra, bianchi e di buona famiglia. Invece no. Tenetevi forte, i due ragazzi sono due come tanti, uno di loro è di origini marocchine, quindi radici africane; l’altro è un italiano e insieme hanno fatto squadra contro un uomo – che indipendente dal suo colore – stava facendo del male a tutti.
Il punto è che insieme hanno fatto squadra. Si sono alleati e non hanno avuto il tempo di valutare la loro origine etnica. Le implicazioni politiche, i risvolti mediatici. Hanno agito e basta. Lo hanno fatto per quello spirito di sopravvivenza che ci rende – gli uomini – tutti uguali.
Sguardi, movimenti, gesti, velocità di pensiero. Sono questi gli elementi dell’azione dei due ragazzi. Due ragazzi che ora sono come fratelli. Figli di un Paese che sta cambiando e che non può permettersi di fare ancora discriminazioni cromatiche e culturali. Furbi, hanno ingannato il dirottatore, quel Ousseynou Sy originario del Senegal nato in Francia. Dentro questa storia c’è tutta la contraddizione che vive l’Europa che deve fare i conti con gli effetti del post colonialismo, dopo anni di sfruttamento dell’Africa, e di pregiudizi nei confronti dell’uomo venuto da lontano.
Ousseynou Sy voleva denunciare il dramma delle tragedie del mare, ma rivendicava male, usando il più stupido degli strumenti. L’azione terroristica.
In TV passano le immagini e le voci dei protagonisti.
A Rami, il ragazzino marocchino nato in Italia, come premio per il suo coraggio vogliono dargli la cittadinanza italiana. La politica ha perso l’ennesima occasione per fare la cosa giusta. Il punto non è avere la cittadinanza come premio, ma come diritto. E se funzionasse così, dovremmo avere come premio per Riccardo la cittadinanza marocchina, per aver salvato un ragazzo di quel paese e onorato il Marocco.
I due ragazzi erano svegli, Rami vuole fare il carabiniere, vuole indossare la gloriosa divisa dell’Arma. Vuole essere un carabiniere, di quelli che con la faccia da ragazzino, e le mani ancora bruciate – dopo aver salvato tanti studenti – lì a guardare le telecamere, imbarazzato; impaziente di tornare in caserma per fare il proprio dovere di sempre, proteggere ognuno di noi, vicino alla popolazione. I volti di quei carabinieri erano i volti dei nostri figli: puliti, pettinati e per un istante ho visto Rami e Riccardo, due giovani colleghi che – indipendentemente – dalle loro origini indossavano una divisa con le bande rosse e la fiamma sul capo.
Questo Paese forse sta cambiando, forse invece di gridare “prima gli italiani” dovremmo dire “prima le persone per bene e che meritano”. Prima le persone che aiutano gli altri, con coraggio e determinazione. Prima i ragazzi impavidi, le menti brillanti al servizio dell’umanità. Allora mi rallegro a vedere un goal di Moise Kean, che indossa la maglia della nazionale italiana, o il corazziere che ha la pelle nera. Questa storia ci ha raccontato altre storie, forse più emozionanti. E non dobbiamo andare lontano, questa è la storia del nostro Paese che guarda l’oriente e l’occidente e che ha sempre accolto la cultura dell’altro, rinnovandola e rendendola unica nel mondo.