L’illusione di potersi affrancare dai Moncada, nel report della professoressa Rosanna Zaffuto Rovello. Dopo “La Prosapia et heroi Moncada della Sicilia” di Della Lengueglia (1657), è la ricercatrice di Caltanissetta che attraverso le sue ricerche oggi racconta i Moncada: della Sicilia Spagnola, dei baroni e principi di Paternò, Caltanissetta e Adernò e dei loro eredi, che vissero a cavallo di quattro secoli (1407- 1816). Laureata in lettere classiche presso l’Università di Palermo, ha insegnato materie letterarie a Caltanissetta. Le è stata conferita l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica, in riconoscimento della sua preziosa attività di ricerca e diffusione della cultura e in modo particolare per la storia di Caltanissetta.
Da qualche tempo non esercita più la professione, tempo in più che si concede come mamma, vivendo tra la Sicilia e Roma. Alla città di Caltanissetta la professoressa Zaffuto ha dedicato gran parte del suo lavoro di ricerca, e non ultimo, per la collana diretta dal nostro Salvo Di Matteo (Cittadino onorario di Paternò, non più tra noi da gennaio del 2017), ha scritto una bellissima raccolta Storia di Caltanissetta dalle origini ai nostri giorni.
Quello che ci ha condotti a lei, è un suo lavoro edito da Salvatore Sciascia nel 2002 “Caltanissetta Fertilissima Civitas”, testo non più in circolazione. In questo libro ricco di date, numeri e molti altri temi, prevale quel lungo processo di emancipazione dei nisseni, come anche dei paternesi, che inutilmente con le loro “Cause” chiedono di ritornare al regio demanio. Nella prefazione, del professore Claudio Gentile, si coglie l’invito alla riflessione per una nuova ricerca aperta a ulteriori contributi. Motivo per cui torna attuale, la pubblicazione del professore paternese Riccardo Gentile che con dovizia, ricca di note e citazione delle fonti, e grazie al contributo del Kiwanis Club di Paternò, nel 1992 ha pubblicato “La Causa” per il riscatto di Paternò. Per analogia ci collega direttamente allo studio della professoressa Zaffuto. “Bisogna prima ricordare che dei Moncada è rimasto molto poco, – dice la professoressa – perché sia a Caltanissetta che a Paternò, nella seconda metà del VII, si è fatto una damnatio memoriae. Cioè una cancellazione della presenza dei Moncada. Le ragioni sono di natura politiche: sia Caltanissetta che Paternò hanno voluto cancellare il feudalesimo. Hanno presentato una serie di documentazione, relativa al passato, in cui la figura e la presenza dei Moncada veniva totalmente sminuita a favore di un preteso orgoglio cittadino. Le città, Caltanissetta, Paternò o Adrano non importa, sono belle non perché i Moncada le hanno fatte così ma perché hanno una loro tradizione atavica di bellezza e di bontà. Faccio un esempio di Caltanissetta che conosco meglio: il palazzo Moncada che si erge al centro della città e che è rimasto incompleto, per altre vicende politiche precedenti, e ha cambiato nome, è stato chiamato Palazzo Bauffremont, perché il marito di una delle ultime principesse Moncada lo ha prima affittato e poi venduto. Aveva sposato un principe di Bauffremont francese, quindi il palazzo non si chiama più Moncada ma si chiamò Bauffremont. Il nome dei Moncada non risulta più, né in titolo ad una strada, né una piazza titolata, non esiste più il nome Moncada nella nostra città. Sulla enciclopedia Treccani, – quella della mia gioventù, – alla voce di Caltanissetta risultava “Caltanissetta è una città moderna nata dalla coltivazione delle miniere”. Tutto ciò che c’è prima, quattrocento anni di storia è stato eroso, cancellato dalla memoria. Questo fenomeno è avvenuto nella memoria collettiva di Caltanissetta, credo sia avvenuto lo stesso anche a Paternò”.
Leggendo “Caltanissetta Fertilissima Civitas” (Il Di Matteo, già intorno al 1693, annota questo attributo anche per la città di Paternò), oltre agli atti notarili, ai molteplici contratti di vendita di grano, portati alla luce, si capisce come la città nel corso del Seicento assumeva la dimensione urbana, si comprende lo spessore culturale dei Moncada e contestualmente si vede come in una ‘clip’, il modo di vivere dei sottomessi. Si può immaginare che lo stesso avvenisse anche a qualche centinaio di chilometri più in là tra Adernò e Paternò, Malopasso e Motta Santa Anastasia. “Caltanissetta come Paternò sono due ‘agri-town’, – spiega l’autrice del libro – anche in questo il destino ci accomuna, sono due città in cui l’economia si basa sulla agricoltura. A differenza di altre città della Sicilia, per esempio a Palermo, non c’è l’agri-town, i cittadini non sono contadini. O, per esempio, Agrigento, Licata, dove la vita si svolge più sul mare. Allora queste città, Caltanissetta e Paternò in particolare, sono città la cui vita economico sociale si basa sull’agricoltura. Questo determina una stratificazione sociale particolare. Lì nasce il burgisi, che poi diventa nel nostro dire il contadino urbanizzato, che in origine era un gabbelloto, cioè un piccolo imprenditore. A quel periodo sarebbe stato azzardato pensare alla borghesia che poi sarebbe arrivata più tardi”.
La Zaffuto racconta la parte migliore e anche cattiva dei Moncada, ma in modo speciale parla di donna Aloysia Luna Vega che governa a lungo Caltanissetta. “Era la figlia del duca di Bivona, nonché nipote del viceré Vega di Sicilia, sposò Cesare Moncada. Una coppia di altissimo lignaggio. Si sposarono a Palermo e poi vennero a vivere a Caltanissetta. Da premettere che fino al 1507 la famiglia viveva a Paternò. Dopo la rivolta del 1516 il conte Francesco Moncada I, che ancora non aveva ereditato gli stati feudali, venne a vivere a Caltanissetta, per controllare meglio e da vicino i rivoltosi, mentre il padre continuava a vivere a Paternò nella sua sede principale. Vennero così a crearsi due corti. I Moncada avevano due poli: Caltanissetta e Paternò e mettevano queste due città in rilievo rispetto a tutti gli altri baronati che facevano parte degli stati feudali. Morto Francesco I, il figlio primogenito Cesare che aveva già sposato donna Aloysia Luna pose la sua residenza a Caltanissetta, mentre a Paternò mise la sua residenza Fabrizio, che nel frattempo sposò per procura Sofonisba Anguissola. Quando Cesare Moncada morì, donna Luysia Moncada rimase vedova. La legge dell’epoca diceva sexso feminio impedente, le donne non potevano avere diritti politici, non potevano gestire l’economia, non potevano firmare se non attraverso un garante. Figuriamoci poi avere la gestione di uno stato feudale o addirittura essere tutrice del figlio minore. Fu suo padre il duca di Bivona a fare da tutore, ma morto anche il padre ottenne per un privilegio del re di Spagna di essere sola tutrice e balia del figlio. E governante degli stati feudali, dal 1582 sino al 1619, riuscendo con il guanto di velluto ma il pugno di ferro a gestire tutti gli stati feudali. Si aveva un ricordo molto positivo di questa donna, a Caltanissetta è morta ed è seppellita. Mi corre l’obbligo ricordare che quest’anno ricorre il suo 400 anniversario dalla morte”.
Per tornare alle Cause intentate dai cittadini? “Nel 1407 quando i Moncada presero possesso di Caltanissetta, era solo un piccolo borgo rurale. I Moncada, negli anni successivi, hanno fatto una città con una corte signorile, un circuito di cultura che ruota attorno alla famiglia, trasformando il borgo in città. Questo comporta la nascita dal ceto mezzano che si sviluppa attraverso lo studio, con i Gesuiti. Acquisendo l’esercizio delle professioni, e specialmente acquisendo consapevolezza di sé del proprio potere economico e politico. Quando i Moncada si allontanano da Caltanissetta e dalla Sicilia, pensando più a risolvere i problemi di famiglia non pensano più agli stati feudali. Gli abitanti di Caltanissetta che appartengono al ceto mezzano decidono di non volere più sottostare, si rendono conto di poter fare da sé. Questo è il motivo per cui nascono queste cause. Cause che in realtà non sono mai state completate, perché la feudalità cadde per le leggi napoleoniche nel 1812. Per cui tornando a quanto detto prima, dei Moncada fu cancellata la memoria.
A distanza di molto tempo è cambiato il modo di vedere i Moncada?
“Si sta facendo un lavoro di grande recupero, di grande spessore – non da sola dice la professoressa Zaffuto Rovello -, Lina Scalisi dell’Università di Catania, ha fatto un lavoro di ricerca molto approfondito, ha pubblicato “La Sicilia dei Moncada” un volume edito da Sanfilippo Editore, raccogliendo il contributo mio, ma anche di tanti altri studiosi sulla famiglia e sulla storia dei Moncada. C’è Raffaella Pilo, per esempio, che va e studia in Spagna, per cercare in Spagna i documenti dei Moncada quando si sono trasferiti lì. C’è tutto un movimento di pensiero in questo momento che serve, appunto, per recuperare la storia. La storia va recuperata sempre, il valore della storia va recuperato sempre. Io sono convintissima che senza l’appartenenza, senza la consapevolezza di un’appartenenza del passato, non si può costruire il futuro.
Spesso mi viene fatta questa domanda: “Ma i Moncada sono stati buoni o cattivi? Sono stati bianchi o neri? Grigi o rossi?”. Non è un giudizio di tipo morale che fa la storia. Allora noi non dovremmo studiare più Nerone, non dovremmo studiare più la storia del nazismo. Invece il ricordo della storia, qualunque essa sia la sua struttura morale, il suo risultato morale, ci dà una nostra forza, una nostra identità; una nostra forza-identità: questa è la cosa importante. Ci sono stati i Moncada buoni e i Moncada cattivi, hanno fatto cose buone, hanno fatto cose cattive, hanno fatto degli errori, hanno fatto delle scelte politiche corrette. Non è questa la cosa importante, la cosa importante è che ci sono stati, che hanno agito e che le loro azioni ci hanno in qualche maniera segnato e formato.