Ogni città ha la sua forma. Ogni città ha le sue reti che la connettono al mondo. Ogni città ha un cuore che pulsa da sempre, anche prima della sua fondazione. Gli uomini l’attraversano, la consumano, la modellano, la scavano e la vivono; ne fanno parte, così intimamente, che ne assumono spesso la forma e il carattere. Avvinghiati al reticolo delle connessioni, tra le parti del paesaggio germogliano architetture: pizzute, spigolose, cavernose, esoteriche e materne.
La città prende la forma degli uomini e gli uomini prendono la forma della città; dentro di essa si conserva – la sua natura, la sua sostanza, la sua matrice primordiale – la presenza del nume tutelare, l’idea stessa del fuoco sacro.
Spesso esistono due città differenti: quella consapevole e quella figlia della superficialità (anche in architettura). Questi due luoghi si sommano, si confondono, si intersecano, si integrano fino a diventare un unico paesaggio urbano. E’ difficile dopo molti secoli distinguerle, bisognerebbe scavare con il bisturi tra le pietre, dentro le pieghe, fino a trovare la traccia originale della fondazione.
L’uomo le abita, collettivamente, pubblicamente e privatamente. Piazze, municipi e case. Parchi, scuole e alloggi. Strade, industrie e rifugi. Dentro tutto ciò, scorre la vita, il tempo. Dentro tutto ciò si annidano i luoghi immateriali come ricordi, paure, speranze, memoria, storie, miti, indifferenze, atrocità e sogni.
Esiste un rapporto intimo tra la qualità dello spazio urbano e il senso di cittadinanza. Esiste un rapporto profondo tra l’architettura e il carattere civico degli abitanti. Possiamo fare finta di nulla, possiamo tentare di nascondere questo rapporto ma esso riemergerà ogni qual volta incontreremo nuove forme di città, lontano dal nostro mondo.
Succederà tutte le volte che entreremo dentro una piazza comoda e accogliente, circondata da bellezze di pietra viva, d’architetture musicali. Succederà quando gli alberi – dentro la piazza – ci offriranno riparo dal sole e una sinfonia di suoni portati dal vento. In questi luoghi, troveremo l’intero palinsesto della storia dell’architettura; troveremo le tracce dell’antico assieme al futuro prossimo. E saremo incantati dalla gente che vive questi luoghi, dai loro modi, dalle loro abitudini, dalla loro cultura. E’ in questo momento che noteremo la finezza dei marciapiedi, la pulizia dei basolati, la bellezza delle maniglie dei portoni, l’incantevole riflesso della luce sulle facciate dei palazzi. Il profumo delle panetterie e i dolci nelle vetrine dei negozi. L’eleganza delle signore e il garbo del fruttivendolo.
Per un attimo, penseremo che gli uomini che abitano quei luoghi, sono diversi da quelli che vivono nel nostro “villaggio”. E non è così. Questo è il punto. E’ difficile da credere, ma è la qualità dello spazio e dell’architettura che influenza il nostro animo e i nostri modi.
Provate a vivere in una stanza piccola, in un palazzo cadente, dentro un quartiere sporco e insicuro. In una casa da cui si vede solo un muro diruto, senza bellezza. E passare da una piazza vuota, senza alberi e senza vita. Vivere in strade senza marciapiedi dignitosi con tante di quelle buche che passa la voglia a camminarci. Provate a vivere in una casa senza quadri, senza arte, senza la bellezza. Provate a vivere in uno spazio che opprime la nostra anima con la sua decadenza, la sua incompiutezza, la sua precarietà.
Esiste quindi un rapporto tra l’architettura (intesa come l’arte di “fare” città) e la qualità nell’esercizio di “cittadinanza”? Essere circondati dalla bellezza urbana, architettonica e artistica, produce bellezza politica, sociale, economica e culturale? E’ un paradigma scontato e secolare. Ma non sempre percepito come tale.
Dipende dal grado di consapevolezza della collettività. Dipende dalla capacità di essere permeabili alla bellezza e alla conoscenza. Dipende dalla capacità di osservare durante i nostri viaggi. Dipende dalla capacità di amare la nostra terra comune. Dipende dall’educazione che stiamo ricevendo. Dipende dalla nostra capacità di essere curiosi e innovativi senza la paura del cambiamento.
Abitare è vivere un luogo. E’ farne parte. Aspiriamo tutti ad avere una bella macchina, un bel vestito, un bel gioiello e dovremmo essere altrettanto impegnati ad avere una bella città e un luogo dove ripararci che sia portatore di felicità. Abitare è confrontarsi, relazionarsi, incontrarsi per sperimentare nuovi modi di esistere e per comprendere lo stesso senso della vita.
Come non cogliere il valore di questa relazione. Architettura e cittadinanza. Qualità dello spazio e qualità sociale. Vittorio Sgarbi – qualche anno fa – proponeva una colata lavica per azzerare la bruttezza di questa terra; io credo che basterebbe cominciare a “ri-educare” a “ri-conoscere” bellezza, per avviare un nuovo processo rigenerativo, consapevole e collettivo. Lo abbiamo fatto tante volte nel passato e lo possiamo rifare. La politica deve ripartire da questo paradigma per invertire la tendenza regressiva delle nostre comunità. Senza questa consapevolezza, senza questo piano strategico, si creeranno, nel tempo, solo perifericità diffuse che spingeranno i nostri giovani (e non solo) a scappare verso altre città. Bisogna premiare, la qualità dell’architettura e delle città. Sostenere i processi rigenerativi con le risorse finanziarie, con le normative e con l’attività promozionale di tali processi virtuosi.