Era un giovane di appena 25 anni il Sottotenente Anselmo Rizzo quando il 24 febbraio del 1945, generosamente, assieme ad altri 44 compagni prese il posto di 21 militari destinati alla fucilazione. Un gesto eroico che gli consentì come militare italiano di mantenere alta la propria dignità personale e quella di una nazione.
All’origine dell’episodio il rifiuto di 214 ufficiali che, presi prigionieri dai tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, si rifiutarono di sottoscrivere l’adesione alla Repubblica Sociale Italiana. Classificati come Internati Militari Italiani (per non riconoscere loro le garanzie della Convenzione di Ginevra), furono impiegati coattivamente in lavori pesanti nei campi di concentramento tedeschi e polacchi. Il loro calvario iniziò il 16 febbraio 1945: rinchiusi prima presso l’Oflag 83 di Wietzendorf, furono poi trasferiti nell’aeroporto di Dedelsdorf, un campo “civetta” su cui attirare i bombardamenti Alleati
Gli ufficiali italiani si rifiutarono di collaborare con i tedeschi e dopo sei giorni consecutivi di opposizione, il 24 febbraio 1945, un ufficiale della Gestapo con un reparto di SS scelse 21 prigionieri a caso dal gruppo dei dissidenti, minacciandone la fucilazione immediata. Ma 44 ufficiali italiani si offrirono volontariamente al posto dei compagni.
Dopo alcune ore di consiglio i tedeschi, sorpresi e particolarmente colpiti dal gesto eroico dei militari italiani, decisero di avviarli alla rieducazione al lavoro, disponendo l’immediato trasferimento nel KZ-AEL di rieducazione al lavoro di Unterlüss, tra i più duri di tutta la Germania, dove furono sottoposti fino all’aprile successivo a lavori forzati, torture, sfruttamenti e a un trattamento di stenti in cui soffrirono la fame.
La storia dei Militari Italiani Internati, chiamati con l’acronimo I.M.I. non è ancora del tutto emersa, anzi c’è ancora molto da raccontare. Da qualche tempo storie personali di molti militari internati, stanno venendo alla luce. Sono il racconto dei parenti, il contenuto del diario personale, o frammenti di foto ritrovate, che ritraggono i militari italiani, prigionieri dei tedeschi, tutte testimonianze preziose, utili a ricomporre una brutta pagina, l’ultimo atto della guerra.
Dei 44 militari ricordiamo il Tenente adranita Settimo Leanza e il paternese Sottotenente Anselmo Rizzo. Ma non i soli, sono più di due mila i militari italiani che hanno vissuto il dramma della prigionia dopo l’armistizio del 1943.
Molte di queste storie sono state raccontate sottovoce, quasi come se fosse una vergogna parlarne. Ormai restano pochi sopravvissuti. A raccontare della loro esperienza oggi sono i figli, i parenti che hanno fatto tesoro della loro testimonianza e tramandano la storia di coraggio. Anselmo Rizzo raccontava poco della sua storia. Della sua prigionia parlò solo nei primi anni dopo il rientro in patria, raccontando alla nipotina Silvia, ancora bambina, come i tedeschi li facevano correre nella neve sparando ai piedi e dei compagni morti. Storie come queste sono raccolte nel libro di Andrea Parodi e Claudia Baracchi, “Gli eroi di Unterluss”
Il dottore Giovambattista Caruso, nipote di Anselmo Rizzo, come socio leonino, nel 2017 in occasione delle manifestazioni celebrative per il centenario del Lions, ha invitato il geometra Sebastiano Garifoli, ormai past presidet del Club service, ad accendere una luce sugli internati di Unterluss. Il Lions Club di Paternò così fece, e nell’aprile del 2017 “ha inteso commemorare con appropriate iniziative e con pubbliche cerimonie le gesta dei 44 eroi di Unterluss – così diceva Sebastiano Garifoli -, per il significato che esse ancora rivestano e per recuperare la memoria e la figura di uno di loro, il nostro concittadino Anselmo Rizzo abitava a Paternò e laureatosi in materie letterarie che insegnò dopo il ritorno in Patria, presso la scuola Media di Paternò”.
Il Lions Club, con il patrocinio del Comune di Paternò riuscì ad organizzare un eccezionale evento. Era la mattina del 6 aprile del 2017, l’auditorium don Milani gremito di giovani studenti attenti ad ogni parola. Presenti l’autore del libro “Gli eroi di Unterluss” Andrea Parodi; Michele Montagano ultimo dei superstiti di Unterluss; la nipote diretta del professore Anselmo Rizzo, Silvia Rizzo; il Cavaliere Giovannino Sparpaglia ufficiale superstite di Paternò. Un evento di grande rilevanza organizzato dalla giornalista Mary Sottile.
Dopo questa iniziativa, il vuoto degli ultimi due anni, tempo utile solo a far sgretolare la memoria collettiva, nessun riferimento ad un figlio della nostra Paternò. Da poco sono state celebrate; il giorno della memoria (27 gennaio), e il ricordo delle Foibe (10 febbraio), poche e di scarso interesse sono state le manifestazioni celebrative. E’ mancato da parte dei dirigenti scolastici, nei propri istituti, un indirizzo di studio unitario, in occasione di importante giornate dedicate alla memoria. Disattesa una pagina dolorosa di storia, ancora poco conosciuta, e che anche quest’anno sarebbe stato opportuno rassegnare alla nostra comunità e in particolare ai giovani i messaggi che ne derivano, ritenuti tuttora attuali.
Come scrive Arrigo Levi, “i nazisti lo avevano previsto: se mai ci sarà un reduce, qualunque cosa racconterà, nessuno vorrà credergli”.
Un figlio di Paternò, il prof. Anselmo Rizzo, era uno dei “ 44 eroi di Unterluss”, ove era nato nel 1918 da una modesta famiglia.
Si laurea in Lettere all’ Università di Catania nel 1940 e nel 1941 è chiamato alle armi: rimane in Italia fino al luglio 1942 per il corso ufficiale e successivamente viene inviato in Grecia ove viene catturato dai tedeschi il 25 settembre 1943 e deportato nei campi di prigionia tedeschi, inviato al lavoro obbligatorio che rifiuta di svolgere.
Dopo la guerra visse appartato nella casa natale di via S. Marco 44 che divide con la sorella, anche lei non sposata, dedicandosi all’insegnamento nelle scuole medie: per 19 anni insegnò presso la Scuola Media Statale “Virgilio” di Paternò.
Muore a Roma a soli cinquant’ anni, nel 1968, dove si era recato per curare un male incurabile.
Speriamo che Paternò non dimentichi.