Si è svolto ieri sera a Paternò un incontro sul vulcano Etna, per capire e forse per trovare le ragioni della nostra ansia, in questi giorni che la terra trema. Appassionato – Boris Behncke, ricercatore dell’Ingv di Catania – ha raccontato la storia della montagna, le sue metamorfosi nel tempo, il suo divenire anche oltre il futuro prossimo.
Assieme a Salvo Caruso– il geologo della sezione Iblamajordi Paternò, dell’Archeoclub d’Italia – Boris Behncke ha reso accessibile a tutti, un tema tecnico e complesso come la vulcanologia e la scienza dei terremoti.
Quasi uno spettacolo teatrale: musiche, immagini surreali e affascinanti, zampilli di lava e fuoco che squarcia il cielo. Incantati dalla mimica di Boris, da quella parlata tedesco-sicula che sembra stonare con la cultura della nostra terra ma ci riporta indietro fino a Federico II e ci conferma che l’Etna è di tutti, è patrimonio dell’umanità.
L’Etna è “ Crocevia di personaggi reali e mitologici, dalle Sirene ai Ciclopi, da re Artù alla fata Morgana, dal filosofo Empedocle a Pietro Bembo; l’Etna è un’enciclopedia simbolica dell’ignoto, una metafora cosmica dove il regno della vita e quello della morte si toccano e sembrano rimandare a una loro intimità primigenia”. (Maria Corti, Catasto magico, Einaudi).
Ma è dall’acropoli di Paternò, che vogliamo guardare la montagna. Una terrazza verso il vulcano, verso la valle e più in là verso il mare. La collina storica, – che poi, geologicamente, non è altro che la mamma della montagna grande, il suo primo tentativo di nascere – è apparsa molto tempo prima, diventando più avanti culla di civiltà, quasi un grembo materno; dentro un territorio più sicuro, ai margini delle tempeste energetiche che provocano le faglie (compresa quella ibleo-maltese).
Quindi viviamo all’interno di un arcipelago di storia, di vulcani, di valli e di fiumi. La storia di questa terra è la storia della sua morfogenesi – geologica e antropica. “Qualche volta penso che il magma urbano risalga verso l’Etna e poi riscenda informe. La sapienza dei contadini ha permesso di costruire una topologia, fatta di terrazze di pietra, mentre l’uomo “erectus” costruisce capanne esotiche. Lo spazio agricolo possiede una struttura urbana fatta di muri a secco, come archeologia di una città scomparsa. Muri nati dalla terra. Magma prezioso dell’Etna”.
E’ chiaro che l’uomo, abita la montagna, il suo mantello e le sue più lontane propaggini. Perché è fertile, perché fornisce la pietra per fare architettura, perché protegge dai venti e raccoglie nelle sue profondità, l’acqua, che è la vita e si “azzizza” (farsi bella in arabo) di piante e fiori.
Ma l’uomo spesso dimentica e non comprende pienamente i suoi segnali. La terra si apre, scassa, esplode, s’insinua, scava, brucia, copre. Restituisce spettacolo e terrore. Una visione romantica, tanto cara a Goethe che la descrive nel suo Tours, tanta cara all’imperatore Adriano che la visita. E’ la casa di Efeso, il teatro delle storie omeriche, il pascolo di Polifemo e il rifugio di Ulisse. Su essa abbiamo collocato le nostre paure, le nostre leggende, il nostro paesaggio immaginifico.
Alcune cose sembrano essere più evidenti. La consapevolezza dell’essere parte di un arcipelago di luoghi, di storie e di miti. La consapevolezza di non aver fatto ancora abbastanza, per prevenire il rischio derivante dai terremoti. E qui Boris Behncke, con gli esempi attuali dell’estremo oriente ci ha dimostrato che è possibile abitare in sicurezza. La necessità di predisporre un piano per le popolazioni, un piano di protezione civile che ci aiuti e orienti in caso di pericolo. E una nuova cultura della sicurezza, quando costruiamo e ripariamo le nostre case. Le immagini di Fleri di questi mesi sono significative ed educative.
Una platea attenta e numerosa, curiosa e appassionata. Una platea articolata, fatta di soci, di amici, di personalità e di eccellenze. Al suo interno: il sindaco, i consiglieri nazionali dell’Archeoclub d’Italia, il console greco, alcuni consiglieri comunali, i presidenti di club service, dirigenti scolastici e molti tra docenti, studenti e tecnici. Una serata all’insegna della cultura transdisciplinare, un nuovo percorso di ricerca collettiva. La città che guarda e studia la propria storia a partire dalla sua fase geologica, a partire dai documenti, per iniziare un nuovo viaggio, indietro nel tempo per costruire un futuro possibile. Un esercizio di utilità, perché riflettere sulle cose e sulle storie deve essere utile a tutti e non a pochi.