Ci risiamo, è tornata a tremare la terra. Ore 3.19 con intensità 4,8. Tra sud-ovest e nord-est. Dalla Valle del Simeto a quella del Bove. Passando per tutti i paesini pedemontani: Centuripe, Biancavilla, Adrano, Ragalna, Zafferana e Fleri. Una linea immaginaria collega queste comunità e non risparmia nessuno.
Ancora tanta paura, incertezza e smarrimento. E meno male che i social funzionano e l’Ingv di Catania ci aggiorna puntualmente. Ormai è automatico. Dopo la scossa subito a consultare il web per saper dove e cosa è successo. Poi, chi ha responsabilità istituzionali deve agire secondo i protocolli previsti. Dai Comuni al volontariato, fino alla macchina regionale della Protezione Civile.
Ora il punto è proprio questo. Dall’ultimo terremoto significativo, di qualche mese fa – escludiamo lo sciame sismico minore – cosa è stato fatto? Il Piano di protezione Civile è stato elaborato? Il COC aggiornato? Stavolta le procedure sono state efficaci? C’è ancora prevista l’area di attesa dentro un giardino pubblico (con alberi) che deve essere aperto da un custode? Sono le stesse domande che ci siamo fatti poco tempo fa, ma purtroppo l’Etna e la terra sono fatti così, si muovono.
Leggiamo persino – sui social – che proprio le aree interessate da interventi di consolidamento di molti anni fa hanno subito ugualmente danni. E qui andrebbe fatta una seria riflessione su come e dove sono stati spesi i fondi pubblici. E’ vero, stiamo parlando di fenomeni naturali imprevedibili con implicazioni complesse ma serve fare qualcosa. Sia sul piano pubblico che privato.
Sulle prime responsabilità – quelle pubbliche – ci siamo già soffermati in precedenza, basterebbe avviare seriamente (con competenza) quanto previsto dalla legge. Elaborare un piano di protezione civile (vero).
Ma oggi vogliamo evidenziare le possibili azioni dei privati. A partire proprio dalle semplici procedure da gestire dentro casa. Scorrono sui social i vademecum su cosa fare durante e dopo il terremoto, ma non basta. Per esempio bisognerebbe sapere – in ogni casa o appartamento – quale è di preciso la parte più sicura per potersi rifugiare nell’emergenza. Bisognerebbe conoscere lo stato di conservazione delle nostre abitazioni e in funzione di questo prevedere un micro piano di protezione civile. Non è una cosa complicata, basta un professionista abilitato (architetto, ingegnere, geometra) che predisponga un vademecum personalizzato. A questo andrebbe aggiunto, un piano di fuga, contestualizzato al proprio quartiere che ci indichi verso quale zona d’attesa andare a partire dalla nostra abitazione. Sembra facile ma uscendo di casa, nel panico, è necessario sapere velocemente cosa fare. Questo sforzo potrebbe avere anche un’utilità collettiva, perché i professionisti – con un minimo impegno – possono restituire alla pubblica amministrazione (magari chi si occupa dell’aggiornamento del PPC) dati e documenti puntuali, che possono – aggregati – restituire un quadro generale delle città utile per concentrare interventi e determinare delle priorità.
Basterebbe formare i professionisti locali ad hoc (quindi certificandoli) e attivare una convenzione per calmierare i costi (anche attraverso defiscalizzazioni), rendendoli minimi per ogni famiglia (unità architettonica).
Si avrebbe una cartografia urbana, in tempi brevi con un alto livello di definizione e ricca di informazioni utili alla pianificazione degli interventi preventivi, di emergenza e di consolidamento. Uno strumento veloce, utile ed efficace.
Ma torniamo al terremoto, certamente ha fatto paura, come sempre. Certamente non finisce qui, almeno per adesso e quindi non possiamo abbassare la guardia. Nessuno. Tifeo è sempre sul pezzo e non fa differenza tra i santi.
Serve solo – almeno per quello che riguarda gli uomini – la capacità di pianificare con lungimiranza.