Sembra il titolo di un film. Uno di quelli che parla di misteri e di antiche civiltà. Una città sepolta ormai da secoli, sotto la terra, sotto nuove architetture, spesso sotto l’indifferenza. L’acropoli scomparsa, per qualcuno mai esistita. Di lei, non si ha certezza, persino del suo vero nome. Forse Iblamajor o forse Inessa, chissà.
E’ l’antica Paternò, la città che ha accolto – o dove si sono insediate – le popolazioni provenienti da Catania, prima del V secolo a.C . Tucidide a Paolo Orsi ne attestano – insieme ad altri storici – l’esistenza tra il V e il III secolo a.C., sotto l’influenza di Siracusa (Gerone I – 460 a.C., Dionisio il vecchio – 396 a.C. e Timoleonte -339 a.C) con cui combatte la guerra contro Atene, alleata di Centuripe. Quindi, prima insediamento Siculo (IV millennio), poi città greca e romana a partire dal 243 a.C.
Secondo Strabone, la città scomparve nel II sec. a.C. e se questo evento fosse collegato all’eruzione pliniana dell’Etna del 122 a.C non ci stupirebbe.
Fino al VIII secolo, poche notizie della dominazione Bizantina e nel 902 arrivano gli Arabi seguiti dai normanni nell’XI secolo: da qui in poi, ci sono informazioni più dettagliate e circostanziate.
E’ chiaro che dal VI al II secolo a.C. la città doveva avere un certa importanza e influenza nelle strategie economiche e militari del territorio, un impianto urbano significativo, la presenza di templi e di un teatro, strade e monumenti. Lo attestano i numerosi rinvenimenti archeologici, ufficiali e non. Lo attestano i reperti, come gli argenti conservati a Berlino e a Siracusa. Lo attestano le attenzioni dei ladri di memoria (tombaroli) che trovano colonne, capitelli, ceramiche, ambienti ipogei, tracce di urbanità, stanze e sembra che a nessuno interessi trovare il nesso tra le parti.
L’acropoli e la città bassa, erano connesse certamente alla viabilità fluviale (ad ovest) e terrestre (ad est). Il Simeto era navigabile e tra esso e la città potrebbero individuarsi strutture portuali, magazzini e abitazioni. Certamente in prossimità dell’abitato. Mentre la viabilità terrestre ad est diventa successivamente la via Francigena, attestandosi sulla via romana lungo le sorgenti dell’acqua per sfiorare l’acropoli nell’attuale area della chiesa di Santa Barbara adiacente al convento dei Carmelitani.
Ogni (più fantasiosa) ricostruzione – che qui proponiamo – è il frutto di un lavoro di riconnessione e ricognizione dei singoli indizi (storici, archeologici, ecc.) in chiave sistemica e multidisciplinare. A partire dallo studio della morfogenesi della valle fluviale; dal vulcanesimo etneo e dei fenomeni secondari dell’acropoli e dello spazio adiacente (salinelle); dallo studio sulle risorse idriche; sulla mobilità storica e sul monachesimo. Incrociando tutto ciò con gli studi consolidati sulla storiografia locale e sui giacimenti archeologici ufficiali.
C’è tanto ancora da fare, da verificare, da studiare. Ma questo che proponiamo è una traccia, una mappa per approfondire, per capire e svelare. L’archeometria ha permesso di individuare la possibile armatura urbana dell’acropoli che contiene un cardo e diversi decumani. Ha permesso di individuare la possibile agorà (dentro il convento di San Francesco), il teatro, i templi, rendendoli coerenti con quello che resta in superficie: chiese, conventi e abitazioni.
La città non può essere definita esclusivamente medievale. La città non può esistere a partire dall’XI secolo. Lo attestano i ritrovamenti archeologici, lo attesta la storia, lo attesta la ricerca.
Durante i lavori di restauro del complesso conventuale di San Francesco sono emersi reperti greci, romani, arabi. Porzioni di città. Lo studio condotto a partire dal singolo manufatto ha permesso di individuare nuovi scenari e oggi siamo di fronte alla possibilità di approfondire tutto con nuove metodologie, non distruttive, preparatorie a nuovi scavi sistematici e mirati, non più frutto dell’emergenza ma per verificare un’idea. In pratica un progetto di ricerca ambizioso, sistematico e scientifico che rilanci questo territorio, restituendo alla collettività la sua memoria nascosta.
Per anni abbiamo evidenziato questi aspetti, inutilmente. Come se ci fosse una volontà a dichiarare la città solo medievale, per coprire per sempre la sua memoria storica più antica. Come ha fatto questa comunità nell’800, quando ha sepolto la vecchia città con l’attuale cimitero. Una città dei morti, sopra una città dei vivi. Quasi un gesto simbolico.
I tempi stanno cambiando, gli attori di questo cambiamento più motivati e organizzati. La voglia di sapere e di fare emerge e spinge per approfondire, per esplorare. Stamattina (il 16 dicembre, all’inizio della novena) un manipolo di uomini e donne cominciano una nuova fase. Quella della ricerca sul campo con nuove tecniche per capire e verificare il mistero dell’acropoli scomparsa, della città sepolta. Esploratori, sognatori, scienziati e poeti. Una forma nuova di cittadinanza a servizio della collettività. Un volontariato culturale che ha bisogno di condivisione e di energie. Un progetto “politico” nel senso più nobile del termine. Per fare rinascere questa collettività bisogna ripartire dalla sua storia, quella più antica. Si riparte dall’acropoli, dalla parte più sacra della città. Da dove si osserva l’orizzonte più lontano, verso il mare, verso Catania, l’Etna e la valle. Dalla parte più alta, perché dal basso si vede poco e niente.