“Io, mia moglie e i miei amici abbiamo pensato di morire. Un uomo in fin di vita accanto a noi e le voci sulla presenza di terroristi in azione a Strasburgo che si rincorrevano sempre più minacciose. Il terrorista lo avevamo visto in faccia pochi minuti prima: pistola in mano, ha preso il taxi dal quale siamo scesi noi”.
A parlare è l’adranita Pino Liggeri, esponente di Forza Italia, ex consigliere comunale, marito di Angela Branchina, attuale vice-presidente del Consiglio comunale di Adrano. Martedì si trovava a Strasburgo assieme alla moglie e ad altri amici della stessa area politica, tutti invitati dall’europarlamentare catanese Giovanni La Via per una visita al Parlamento Europeo.
Martedì sera si sono tutti dati appuntamento nella zona centrale del mercatino di Natale. Il ristorante per la cena, che si trova a due passi da lì, era già stato prenotato. La Via, ancora dentro il Parlamento a colloquio con il presidente Tajani, sarebbe arrivato da lì a poco per unirsi al desco assieme ai suoi amici.
“Arriviamo con due taxi – racconta Pino Liggeri, ancora fortemente turbato da ciò che è successo – nella piazza principale. Dal primo taxi scendiamo io e mia moglie. Dall’altro i nostri amici. Alziamo lo sguardo e vediamo un giovane in stato di alterazione che ha una pistola alla mano e sale sul secondo taxi che abbiamo appena finito di pagare. Sul momento ho pensato fosse un rapinatore che stava scappando. E’ passata qualche frazione di secondo perché noi tutti ci accorgessimo del corpo di un uomo a terra, lì sulla piazza. Qualcuno ha cominciato a gridare ‘terrorism terrorism’ e a quel punto abbiamo realizzato ciò che stava succedendo. Eravamo entrati in un incubo. Per un tempo che m’è parso infinito, ho creduto che stavamo tutti per morire”.
Liggeri ha poi letto dai giornali che dentro il taxi appena ‘consegnato’ a Cherif Chekatt – 29 anni e 27 condanne sul groppone – il giovane di origini magherbine, indicato come una minaccia per la Sicurezza nazionale (ucciso giovedì), s’era vantato con il taxista di avere appena fatto fuori 10 persone (cosa non vera).
“La gente – racconta ancora Liggeri – scappava da tutti i lati. Oltre al terrorista che noi avevamo avuto la ventura di incrociare, si era sparsa la voce ce ne fossero altri in azioni. Decidiamo di muoverci in direzione del ristorante dove era previsto andassimo a cenare. Ci spostiamo di poco perché è un passo dalla piazza. Il ristorante – Au Point St. Martin, al numero 15 di Rue des Molines – aveva però le porte serrate. Cominciamo a bussare in maniera forsennata e gridiamo ‘Italiens, Italiens’. Insistiamo, mentre attorno a noi l’atmosfera si fa sempre più pericolosa. Vediamo decine di uomini delle forze dell’ordine che si aggirano armati. Il ristorante decide di aprirci, credo che uno dei nostri abbia spiegato loro che eravamo gli stessi italiani che avevano prenotato per la sera. Entriamo nel locale che è molto piccolo. Le vetrate del ristorante danno all’esterno. Per sicurezza ci viene chiesto di rannicchiarci e stare abbassati il più possibile. La porta del ristorante si riapre e vediamo due persone che trascinano velocemente lì dentro il corpo dell’uomo che avevamo visto a terra privo di vita, pochi minuti prima. Respira ancora, a quanto pare. Una donna, scopriremo poi essere una infermiera, per ore gli pratica un massaggio cardiaco, nel vano tentativo di rianimarlo. Accanto all’uomo esanime c’è una donna che piange, è la moglie. Ancora nessuno di noi sapeva delle altre vittime e del ferimento del giovane giornalista italiano Antonio Megalizzi, morto venerdì”.
Pino Liggeri non si è ancora ripreso dal trauma che ha catapultato lui e i suoi amici nel ‘cuore’ di un attentato terroristico.
“Pensavo fosse la scena di un film. Siamo rimasti tutti ammutoliti, nessuno di noi ha avuto la forza di aprire la bocca e di parlare. Siamo solo riusciti a incontrare gli uomini della gendarmeria per spiegare loro di avere visto in faccia il terrorista che stavano cercando. Di grande confronto è stata la presenza dell’on. Giovanni La Via che, non so come, è riuscito a raggiungerci nel ristorante e a tranquillizzarci un po’. Nel cuore della notte, siamo stati prelevati dalle forze dell’ordine e lasciati nelle vicinanze di una caserma dei Vigili del fuoco. ‘Qua siete al sicuro’, ci hanno detto e sono andati via. Lì vicino abbiamo trovato due angeli, padre e figlio calabresi, che si sono presi cura di noi e ci hanno riaccompagnato in albergo. Solo adesso trovo la forza di raccontare ciò che ci è accaduto. E se ripenso a quelle ore terribili, mi vengono di nuovo i brividi”.