Algoritmo, la teologia della complessità: capire ed emulare Dio

Abbiamo tutti sentito parlare dell’algoritmo. Ormai è un termine apripista. In qualunque situazione ci troviamo, esce fuori qualcuno che si appella o inneggia all’algoritmo. Quello, in pratica, che ha deciso o deciderà – al nostro posto o al posto di Dio – come e quando dobbiamo fare qualcosa. C’è un algoritmo per tutto: per gestire il traffico, per la dieta, per fare la spesa, per scegliere gli amici, per vedere i film, per andare a cena e persino per scegliere il libro da leggere o la città da visitare. Ormai è come l’oroscopo. Dobbiamo prima consultare l’algoritmo. Per capire come muoverci alla borsa di Tokio oppure gestire le nostre risorse domestiche o industriali. Tutto dipende dall’algoritmo che abbiamo a disposizione, dall’azienda che lo ha sviluppato e quindi dal programmatore (uomo) che lo ha pensato.

Tanto per capirci riportiamo alcune definizioni del termine algoritmo e le implicazioni nel campo della matematica e dell’informatica. “Un algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari, chiari e non ambigui, in un tempo ragionevole. Il termine deriva dalla trascrizione latina del nome del matematico persiano al-Khwarizmi vissuto nel IX secolo d.C., che è considerato uno dei primi autori ad aver fatto riferimento a questo concetto scrivendo il libro “Regole di ripristino e riduzione” … L’algoritmo è un concetto fondamentale dell’informatica, anzitutto perché è alla base della nozione teorica di calcolabilità: un problema è calcolabile quando è risolvibile mediante un algoritmo. … Al tal fine sono stati definiti alcuni modelli matematici di algoritmo, fra i quali uno dei più celebri è la macchina di Turing … che ha un funzionamento estremamente più semplice cosicché possa essere facilmente descritto in termini matematici, facendo uso di concetti come insieme, relazione e funzione. (fonte Wikipedia)

Se avete resistito e siete ancora qui a leggere vi tranquillizzo: con la matematica abbiamo finito, riprendiamo il sentiero originario. In pratica, tutto quello che ci circonda è infinita complessità. La natura, nel suo significato più ampio, contiene innumerevoli combinazioni e relazioni tra le sue parti minime. Significa che se vogliamo comprendere un fenomeno, per esempio il cambiamento climatico, la scomparsa di una specie, la crescita di un albero – oppure l’innamoramento, l’invidia e il perché c’è gente che invece di fare, distrugge – dobbiamo osservare non tanto il singolo fenomeno ma individuare le coordinate della sua complessità (insieme, relazione e funzione).

E’ necessario non soffermarsi su un punto ma sul suo intorno significativo. Cioè, tutto quello che determina direttamente e indirettamente l’effetto osservato. Quindi indagare sulle cause – complesse – di ogni fenomeno naturale e artificiale, sociale e culturale, politico e metafisico. Detto così, sembra facile, ma non lo è. Quando i sacerdoti, nell’antichità, disegnavano le costellazioni – regalandoci l’Orsa Maggiore, Sirio e quella del Cigno – non facevano altro che mettere in relazione le stelle (inconsapevoli) del cielo (conosciuto), creando un primo ed elementare algoritmo. Erano i cacciatori di stelle e le costellazioni erano un tentativo di comprendere e governare la complessità.

Un tentativo di comprendere la complessità del creato – a noi sconosciuta interamente – per ricavarne un ordine superiore. In questo modo – ormai da secoli – tentiamo di capire e di emulare l’essenza del divino. La dimensione imperscrutabile dell’universo. La teologia e la scienza – indagano con codici linguistici diversi lo stesso paesaggio: l’universo e le sue regole. L’ostinata ricerca del Logos che si contrappone al Caos (Gilles Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, Einaudi). “Significherebbe disconoscere l’unità del mondo”, scrive Thomas Mann in “Giuseppe e i suoi fratelli”, “ritenere la religione e la politica due cose fondamentalmente diverse, che nulla abbiano né debbano avere in comune. (…) In verità si scambiano la veste (…) ed è il mondo nella sua totalità che parla quando l’una parla la lingua dell’altra”. Jan Assmann, Potere e salvezza. Teologia politica nell’antico Egitto, in Israele e in Europa, Einaudi

Appare chiaro che tentiamo di capire ed emulare Dio, attraverso la ricerca di un ordine e un modello (matematico) che comprenda e spieghi il passato e il futuro. Dai sistemi lineari (problemi scomponibili in sotto sistemi indipendenti) a quelli complessi; dal riduzionismo all’olismo. Complesso, il latino, deriva dalla parola “Complector” che significa legame, nesso, concatenazione, interrelazione. Vi è quindi “la necessità di una nuova conoscenza che superi la separazione dei saperi presente nella nostra epoca e che sia capace di educare gli educatori a un pensiero della complessità”, all’approccio transdisciplinare” Edgar Morin.

L’algoritmo decide per noi. Condiziona le nostre vite. Predice il futuro, spiega il passato. Ancora una volta l’uomo prova a costruire la torre di Babele. (Silvano Petrosino, Babele, Architettura, filosofia e linguaggio del delirio, Il Melograno). Prova a mangiare la mela. Anzi non ha mai smesso e questo è nella sua natura. Provare a capire a partire da un punto per esplorare tutto l’universo.

Rimane attuale l’esigenza dell’uomo di imitare e copiare la natura (Dio) come tensione perpetua. Lo facciamo con l’arte, con la scienza, con la teologia. Teatro, pittura, musica, architettura, scultura, matematica, geometria, … sono gli strumenti di cui ci serviamo per svelare il mistero dell’universo: la nostra esistenza. Perché … tra due infiniti – il passato e il futuro, eterno – s’insinua un attimo, la nostra vita. L’unico istante in cui, coscientemente, sentiamo l’essenza del divino, tra le nostre dita e ci pare di farne parte.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

1 Comments

  1. Buongiorno, ho trovato per caso questo articolo, complimenti.
    Da un paio di anni rifletto sul tema di Babele, di recente ho pubblicato una raccolta di poesie che ruota attorno a quest’immagine. Per completare un saggio cercavo disperatamente il testo di Petrosino, irreperibile on line. Lei puoi aiutarmi? se ce l’ha, può prestarmelo per fotocopie? Mi faccia sapere…
    PS: ovviamente sono anch’io di Paternò….

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