Maxi-sequestro da 21 milioni di euro a due imprenditori considerati vicini al boss latitante Matteo Messina Denaro. La Polizia e la Guardia di Finanza di Trapani hanno confiscato svariati beni immobili (52 appartamenti, 9 villini, 11 magazzini; 8 terreni; 19 garage) autovetture, conti correnti e società a carico dei due imprenditori considerati “collusi con esponenti delle ‘famiglie mafiose’ della provincia, attivi nel settore edile, che hanno operato nel lucroso settore dei lavori appaltati da enti pubblici in Sicilia”.
Il provvedimento è stato emesso a conclusione di analisi condotte dai poliziotti della Divisione Anticrimine svolte in collaborazione con la Divisione Anticrimine e il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Trapani. I risultati delle indagini, scrivono gli investigatori, hanno evidenziato “l’appartenenza dei due imprenditori a un gruppo di imprenditori che ‘Cosa Nostra’ ha utilizzato, su mandato di Matteo Messina Denaro allo scopo di esercitare, per oltre un decennio, il condizionamento nelle fasi di aggiudicazione di appalti, nell’esecuzione delle opere e nelle forniture”.
I due imprenditori, Francesco Morici e Vincenzo Morici, sono padre e figlio che operavano nel lucroso settore dei lavori appaltati da enti pubblici in Sicilia. Per il primo era stata proposta l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale ma nel frattempo è deceduto mentre per il figlio il Tribunale ha respinto un’analoga proposta ritenendo che non vi fosse attualità della pericolosità sociale dello stesso. Il sequestro è stato disposto a conclusione di analisi condotte dalla Divisione Anticrimine in base alle acquisizioni degli organi di polizia giudiziaria e a seguito di indagini societarie e patrimoniali svolte congiuntamente dalla Divisione Anticrimine e dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Trapani. Il vertice mafioso, gestiva tramite i Morici ed altri imprenditori contigui, i meccanismi di controllo illecito sull’aggiudicazione dei lavori pubblici e sulla esecuzione dei lavori, prevedendo che l’impresa aggiudicataria versasse una percentuale ai funzionari pubblici corrotti ed alla famiglia mafiosa di Trapani.