Una sollevazione popolare, attraverso centinaia di post, ha suscitato la vicenda dei tre pedofili di Paternò finiti in manette dopo una delicatissima indagine condotta con perizia e massima discrezione dai Carabinieri di Biancavilla. La “porta di ingresso” per adescare i minorenni sono stati i social assai frequentati dai ragazzi. Tramite Facebook e Whatsapp (la chat era denominata “gruppo di amici”) i tre pedofili hanno contattato i minorenni divenuti poi vittime delle loro violenze. Le accuse ipotizzate nei confronti delle tre persone arrestate fanno accapponare la pelle: violenza sessuale aggravata in concorso, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne e violenza sessuale di gruppo.
Per fortuna c’è stato chi ha intuito che qualcosa non andava per il verso giusto. La madre di uno dei ragazzi violentati si è rivolta ai Carabinieri di Biancavilla per spiegare loro che tramite Facebook un adulto aveva preso a molestare il proprio figlio. Le foto ammiccanti del minorenne facevano “bella” mostra sul social assieme a quelle di altri inconsapevoli vittime potenziali. L’amico dei social è uno dei tre adulti pedofili arrestati nell’operazione disposta dalla magistratura. Nel ’95 l’uomo era stato condannato per una violenza sessuale ai danni di un minorenne. Dipanando la matassa, i militari sono venuti a conoscenza di altri particolari terribili e scabrosi grazie alla collaborazione di alcuni familiari dell’uomo arrestato: un nipote del pedofilo e un suo amico minorenne erano stati da lui invitati a compiere una serie di pratiche sessuali.
Ciò che atterrisce ancor di più è la scoperta del luogo dell’indicibile, la zona dove i ragazzini sono stati costretti a subire violenza: il piazzale del Castello Normanno di Paternò. Un luogo d’arte, di richiamo culturale, incustodito e trasformato nello scenario di un fatto terribile. I minorenni testimoni e vittime di ciò che avevano subito, assieme ai carabinieri hanno rifatto il percorso che parte dalla Biblioteca e va alla Scalinata. Ciò che hanno poi raccontato, con tutto il dolore ancora dentro il cuore, non si può nemmeno immaginare. Anche al più mansueto tra i cittadini verrebbe voglia di mangiare il cuore marcio di questi individui con fattezze umane.
“Ammazzateli” scrivono sui post genitori indignati da ciò che è stato reso noto dalla Procura di Catania. “Vogliamo nomi e cognomi di questi porci, non di chi ruba un profumo” aggiunge qualcun altro.
E’ avvenuto a Paternò, sotto i nostri occhi. Alle giovani vittime tutti noi dobbiamo delle scuse. In ginocchio vorremmo dire loro: “Perdonateci per non esserci accorti di nulla”.