Si terrà domani – mercoledì 10 – l’udienza davanti al Gup Giovanni Cariolo che dovrà decidere se rinviare a giudizio gli adraniti Davide Garofalo e Agatino Scalisi, i due indagati del caso “Ambulanza della morte” culminato nel dicembre dello scorso anno con l’arresto di Garofalo.
Nei confronti dei due “ambulanzieri” che prestavano servizio con mezzi privati all’esterno dell’ospedale di Biancavilla, la pubblica accusa ipotizza responsabilità ben precise dietro la morte di almeno quattro pazienti: Salvatore Gagliano, Agatina Triscari, Salvatore Cadile per Davide Garofalo, Maria Giardina per Agatino Scalisi. Ai due viene contestato anche il reato di estorsione, aggravato dal metodo mafioso, ai danni dell’impresa funebre Arena. La difesa di Garofalo – avv. Turi Liotta – ha depositato una consulenza medico legale contestando il presupposto scientifico della tipologia di condotta come descritta dal teste d’accusa. Agatino Scalisi è a piede libero: il Gip ha ritenuto, infatti, non ci siano riscontri perché non è stato riconosciuto dai parenti del defunto come presente quel giorno in quel trasporto.
La vicenda della cosiddetta “Ambulanza della morte” prese le mosse nel maggio del 2017 grazie alle ripetute inchieste della trasmissione Le Iene di Italia 1. Prima a Roberta Rei, l’autrice dell’inchiesta, e poi al Pm Andrea Bonomo, un testimone – da allora sotto protezione – ha svelato il modus operandi. Le morti sarebbero avvenute dentro l’ambulanza mentre il paziente, in fin di vita, veniva trasportato dall’ospedale di Biancavilla alla propria abitazione. “Praticamente la gente non moriva per mano di Dio – racconta in una delle interviste il testimone -. Siccome era in agonia e doveva morire lo stesso, lo facciamo morire prima sull’ambulanza così si guadagnano 300 euro invece di 50 o 20”. I pazienti in fin di vita – secondo quanto sostiene la “gola profonda” – sarebbero stati uccisi con l’aria iniettata nel sangue. Tutto ciò garantiva agli ambulanzieri che li trasportavano un maggior guadagno perché si sarebbero occupato della vestizione delle salme.
Gli ambulanzieri avrebbero guadagnato anchevendendo il cadavere alle ditte funebri che avrebbero realizzato il funerale. Un altro testimone oculare ha raccontato: “Chiamavano le ditte per passare il defunto: chi offriva di più aveva il funerale garantito”. Nell’ultimo rapporto semestrale della DIA l’operazione “Ambulanza della morte” viene collegata alle attività illecite del clan Mazzaglia-Toscano-Tomasello di Biancavilla e del clan Santangelo di Adrano, considerati entrambi articolazioni della famiglia catanese Santapaola-Ercolano.
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