Archeofollia, i tesori rubati e i ladri di memoria: il furto anomalo al museo di Paternò

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Ci siamo svegliati attoniti. Da Rio de Janeiro arrivavano le immagini dell’incendio del Museo Nazionale che in una notte bruciava duecento anni di storia. “Una tragedia”, dichiarava il Direttore, che cancella una parte importante della storia del Brasile e dell’America Latina.

Sembrava uno scherzo ma ancora una volta – a Paternò, in provincia di Catania – ennesimo furto (anomalo) ai danni del nostro patrimonio storico-culturale. E non stiamo parlando di duecento anni di storia ma tremila e forse più. Per un momento si è pensato a una “fake”. Un equivoco. Invece no. Mentre si rifletteva sul Museo del Brasile arrivava conferma che il furto, di casa nostra, era vero.

Apparentemente pochi e di varia fattura i reperti sottratti, da alcune anfore proto-greche a una croce medievale, forse anche qualche moneta, ma non è dato sapere altro, uno strano mistero. Poi piccoli oggetti da lavoro, di quelli che non valgono nulla se non per i proprietari. Un’associazione di volontariato che gestisce il deposito/museo Monsignor Savasta di Paternò.

Quello che colpisce è la facilità con cui si sono intrufolati e poi scappati. Quello che colpisce è la specificità degli oggetti rubati, come se sapessero esattamente cosa e dove. Quello che colpisce è l’impotenza del museo, che non aveva video sorveglianza e allarme. Ma quello che colpisce è che non sappiamo – almeno le forze dell’ordine e le istituzioni – cosa contiene questo museo. Un deposito (ordinato solo per gli addetti ai lavori), di anni e anni di scavo nel territorio paternese.

Colpisce il senso di abbandono e degrado dello stesso manufatto come se aspettasse da sempre questa violenza, questo sopruso dei ladri della memoria. Ma non si comprende bene la portata del gesto se non si evoca il furto di San Francesco sull’Acropoli di qualche mese fa. Anche li tutto facile, tutto semplice, tutto (anomalo).

Furti su commissione? Avvertimenti? Prove, per preparare azioni più importanti ai danni del patrimonio archeologico? Diversivi, per spostare l’attenzione dalla crisi che vive la città? Oppure qualcosa di più sofisticato, più elegante e più inquietante, come se fosse la trama del film “la migliore offerta” di Giuseppe Tornatore?

Colpisce che – come per San Francesco, e non solo – gli inquirenti non possono rilevare le impronte perché la scena del crimine è stata subito contaminata.

La sovrintendenza è subito intervenuta. Subito ha portato alcuni reperti lontano dal museo e chissà quando li rivedremo, se li rivedremo.

Dicevamo anomalo, un furto anomalo. Sicuramente non è stato un atto di vandalismo. Sicuramente c’è altro e gli inquirenti stanno valutando ogni pista possibile. Non un singolo gesto ma l’ennesimo atto di forza nei confronti di una città inerme e attonita, quasi indifferente. Se pensiamo anche ai fuochi accesi sulla parte ovest della collina, come a preparare il terreno di futuri scavi clandestini.

Tra le mura del museo, uomini e donne si muovono come fantasmi. Smarriti come violentati. Uno, due, tre oggetti. Cosa importa? Quello che brucia è la consapevolezza che siamo impotenti e (indifferenti).
Cosa contiene il deposito-museo? Chi lo gestisce? Ma se vogliamo essere più crudi. Esiste un progetto culturale che valorizza e protegga il patrimonio storico culturale di questa città? Una regia che tessa le fila tra enti, associazioni, istituzioni e forze dell’ordine per offrire la più ampia resistenza al malaffare che ruota attorno ai beni culturali?

“Per guarire, bisogna per prima cosa, prendere atto di essere malati. In caso contrario, non si guarisce mai. Si muore.” (cit.)

Abbiamo perso una croce, abbiamo perso alcuni manufatti di ceramica – testimonianze storica di civiltà – abbiamo perso una parte di noi. Quello che è successo fa paura perché – al di là – delle reazioni di ritonessuno sa bene cosa fare e cosa succederà. Serve un progetto condiviso tra gli attori della filiera culturale che rilanci il tema e predisponga atti strutturati e lungimiranti.

Questo Paese è il più grande scrigno di tesori artistici e culturali della terra. Sotto attacco ormai da secoli da faccendieri e mercanti che godono della complicità di mezzi uomini che tradiscono la memoria del proprio popolo e della propria nazione.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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