Progetti partecipati e condivisi per valorizzare l’Etna, il vulcano e le sue contrade dove dinamici produttori di vino, chi da dieci generazioni, chi affascinato dall’energia del vulcano e dal suo suolo ricco di minerali, investono nella terra, recuperano vecchi vigneti, reimpiantano vitigni autoctoni, assumono manodopera locale e creano un circuito virtuoso che crea un indotto positivo in termini di sviluppo socioeconomico, cura e manutenzione del paesaggio. E’ l’obiettivo che, a Milo (Catania), ha visto unanimemente d’accordo i sindaci dell’Etna (Castiglione di Sicilia, Linguaglossa, Nicolosi, Pedara e Piedimonte Etneo) che, accogliendo invito del sindaco Alfio Cosentino, hanno preso parte alla prima tavola rotonda della ViniMilo 2018. L’incontro, che ha visto la partecipazione di una nutrita schiera di produttori, sia grandi cantine che piccole aziende familiari interessate a conoscere le opportunità di crescita del comparto, era dedicato a un confronto fra i territori dell’Etna e del Barolo, entrambi nella lista Unesco dei patrimoni dell’Umanità ed entrambi vocati alla produzione di vini d’eccellenza. Erano presenti Antonio Benanti (presidente del Consorzio di tutela dell’Etna Doc, che quest’anno compie 50 anni), Gabriele Ragusa (commissario del Parco dell’Etna), Rosa Spampinato (agronomo e dirigente del Parco). Ospite d’onore il sindaco di Barolo, Renata Bianco, e il presidente dell’Enoteca Regionale Barolo, Federico Scarzello.
“Dopo la Doc del 1966 -ha spiegato il sindaco di Barolo, Renata Bianco- la svolta è stata la denominazione Docg del 1980. La menzione geografica ha consentito d[sg_popup id=”7489″ event=”inherit”][/sg_popup]i far conoscere fisicamente il territorio del Barolo e di conseguenza di far apprezzare ulteriormente le peculiarità del nostro vino. E’ utile il confronto con altre esperienze, perché stimola a non sederti sugli allori ma a cercare sempre nuove opportunità di scambi culturali per far crescere i territori. Ben venga questa occasione di dialogo promossa da ViniMilo tanto più che con l’Etna condividiamo il riconoscimento Unesco e quindi l’impegno per la salvaguardia del territorio custodito con sapienza dai nostri antenati”. Federico Scarzello ha fornito alcuni numeri: “Produciamo 100% uva nebbiolo coltivata su circa 2.000 ettari di vigneti che si estendono sul territorio di 11 comuni nelle Langhe nel sud del Piemonte. Produzione potenziale di 14,5 milioni di bottiglie suddivise tra più di 300 produttori e imbottigliatori, di cui la stragrande maggioranza produce tra 10 e 50 mila bottiglie l’anno, con una superficie media ad azienda di circa 5 ettari. Se si sommano i viticoltori che conferiscono l’uva a terzi il numero di aziende supera le 500. Nella scorsa campagna il valore delle uve era tra i 450 e 550 euro/q con un ricavo ad ettaro lordo medio di 40.000 euro”. Antonio Benanti, dopo aver documentato l’impennata di produttori di Etna Doc nell’arco degli ultimi dieci anni (da 25 circa sono adesso più di 150), ha spiegato come “già dal 2011 il riconoscimento del termine contrade, come aree privilegiate di produzione d’eccellenza (per via dell’esposizione e di altri fattori microclimatici), consenta la menzione in etichetta, per aggiungere valore al prodotto alla stregua dei francesi Cru, che appunto identificano un territorio perimetrato e con vigneti importanti”.
Soddisfatto il sindaco di Milo che ha incassato l’apprezzamento dei colleghi ‘vicini di casa’ per l’organizzazione della ViniMilo, evento che, al tradizionale concetto di festa pre-vendemmia condiviso in piazza con proposte enogastronomiche e degustazioni di vini dell’Etna, affianca ormai da qualche anno un programma di convegni con istituzioni, produttori, distributori, sommelier, giornalisti e critici di settore che hanno contribuito a far crescere la qualità dell’offerta. “Ma anche -ha sottolineato Alfio Cosentino- la consapevolezza, da parte della comunità, di essere parte di un unico grande sistema produttivo che ha nell’Etna il suo nume tutelare. Per questo abbiamo voluto confrontarci con Barolo: sono molte le affinità fra i due territori e il confronto fra le due esperienze è stato certamente positivo. Anche sull’Etna la crescente ‘cultura del vino’ ha prodotto l’aumento di manodopera specializzata e di addetti all’accoglienza nelle cantine con grande dimestichezza con l’inglese”.
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